Contrattazione collettiva: solo i diritti quesiti non possono essere modificati in peius
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 20/10/2015 n.21232, ha deciso che i contratti collettivi di diritto comune, poiché costituiscono la manifestazione dell’autonomia negoziale di chi li stipula, operano solo nell'ambito temporale concordato dalle parti, dato che se si dovesse optare per il principio dell’ultrattività della vincolatività del contratto scaduto sino ad un nuovo regolamento collettivo, si violerebbe la garanzia prevista dall'articolo 39 Cost.
I giudici di legittimità si sono pronunciati in merito ad un ricorso avanzato da un lavoratore che si era visto negare nei primi due gradi di giudizio il diritto di continuare a percepire in busta paga due voci retributive, consistenti nell’incentivo di merito e nell’assegno integrativo per l’ex grado ottavo. Voci queste che erano state riconosciute dalla precedente contrattazione collettiva, ma poi erano state abolite a seguito di un accordo sindacale.
Secondo la Suprema Corte, in caso di successione tra contratti collettivi, le modificazioni "in peius" per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall'esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché' le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (articolo 2077 cc), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale (Cass., n. 13960/2014).
Inoltre, continua la sentenza 21232/2015, i contratti collettivi aziendali devono ritenersi applicabili a tutti i lavoratori dell'azienda, anche se non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l'unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l'esplicito dissenso dall'accordo medesimo e potrebbero addirittura essere vincolati ad un accordo sindacale separato e diverso (Cass., n. 10353/2004).
Osserva ancora la Corte di Cassazione, il lavoratore, che abbia contestato l’applicabilità nei suoi confronti di un contratto collettivo modificativo "in peius" di diritti già acquisiti sulla base di una precedente contrattazione, non può aderire allo stesso contratto, in relazione alla disciplina di quei medesimi diritti, solo per la parte più favorevole, posto che la disciplina collettiva deve avere normalmente un'applicazione integrale, senza commistione e sommatorie fra i contenuti dei contratti collettivi succedutisi nel tempo, salvo un'espressa volontà delle parti in tal senso (Cass., n. 14741/1999).
Infine, richiamando l’orientamento precedente (Cass., n. 18548/2009), i giudici di legittimità hanno ricordato anche che il contratto collettivo, senza predeterminazione di un termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione va estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all'esigenza di evitare, nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto, la perpetuità del vincolo obbligatorio.
Ne consegue che, in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione.
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