L’emergenza sanitaria, il grosso della stessa quantomeno, dovrebbe essere ormai alle spalle in termini di perdite umane, economiche ed occupazionali ed è necessario tornare pensare al lavoro e alla riorganizzazione dell’azienda puntando anche sul welfare aziendale, influenzando positivamente, di fatto, la sfera professionale e la qualità della vita. Al datore di lavoro conviene accantonare un modello autoritario di comunicazione verticale, prediligendo il dialogo e la comunicazione assertiva dove il ‘conflitto’ è accolto e gestito senza ‘rompere’ la relazione, ma come momento di crescita reciproca. Motivare, praticamente, i dipendenti coinvolgendoli nel progetto aziendale, sia di lavoro che decisionale, affinché possano sentirsi appagati nell’aver contributo per la buona riuscita e senza tralasciare le nuove considerazioni sulla presenza fisica sul posto di lavoro che lo smart working a messo in discussione. La produttività migliora, infatti, dimostrando attenzione per le esigenze dei lavoratori con un corretto bilanciamento dei tempi di vita e di lavoro, applicando flessibilità in entrata e in uscita, elasticità oraria per la pausa pranzo, banca delle ore/lavoro, per citarne alcuni.

Nelle piccole PMI e nelle aziende a dimensione familiare spesso sono ancora oggi offerte solamente flessibilità di orario per far fronte ai bisogni delle persone e un nuovo welfare aziendale porterebbe l’azienda a farsi carico dei bisogni dei dipendenti e dei loro familiari, incrociandoli con le opportunità di de/standardizzazione degli orari della produzione e flussi di vendita, concedendo benefit e facilities non tanto in denaro, quanto sotto forma di beni e servizi, (art. 100 e 52 TUIR) di tempo e di opportunità di crescita e modificando la cultura del lavoro.