Welfare: lo status di lavoratrice madre non individua una categoria generale
A cura della redazione
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 57/2024, ha fornito nuove precisazioni in materia di welfare, indicando che non è possibile individuare una “categoria di dipendenti” sulla base di una distinzione non legata alla prestazione lavorativa, ma a caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente.
Nel caso specifico, la società istante intendeva riconoscere a tutte le lavoratrici madri, al termine del periodo di astensione obbligatoria per maternità, una somma equivalente alla differenza tra l’indennità del congedo parentale a carico INPS e il 100% della retribuzione mensile lorda. Tale importo, riconosciuto per i tre mesi successivi al periodo di astensione, sarebbe stato erogato in forma di welfare aziendale e non in denaro.
Occorre ricordare che il particolare e più favorevole regime fiscale applicabile ai benefit rientranti nel cd welfare, presuppone che destinatari dello stesso siano tutti i dipendenti o “categorie generali” degli stessi. Infatti, l’applicazione delle norme di favore non è ammessa laddove le somme o servizi siano rivolti ad personam o apportino dei vantaggi solo ad alcuni lavoratori.
Lo status di lavoratrice madre rientrata al lavoro dopo l’astensione obbligatoria, secondo l’Agenzia, non può integrare i presupposti per l’applicazione delle esenzioni previste dall’art. 51 del TUIR, anche se presso il datore vige un piano welfare. Pertanto, le somme destinate a tali lavoratrici hanno rilevanza reddituale, in quanto si tratta di un'erogazione sostitutiva di compensi, fissi o variabili, che risponde a finalità retributive.
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