Videosorveglianza in azienda: non basta l’assenso dei lavoratori
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 50919 del 17 dicembre 2019, ha stabilito che, per l’installazione di telecamere di sorveglianza all’interno dei locali dell’azienda, non è sufficiente un accordo scritto con i lavoratori, ma è sempre necessario attivare la procedura ex art. 4, L. 300/1970 che prevede l’accordo con le rappresentanza sindacali o, in mancanza, l’autorizzazione da parte dell’ITL.
Nella fattispecie in esame, un datore di lavoro è stato condannato alla pena di € 1.000 di ammenda, per avere installato, in violazione del D.Lgs. 196/2003, articoli 114 e 171 e della L. 300/1970, art. 4, c. 1 e art. 38, all'interno della propria azienda, n. 16 telecamere di un impianto di videosorveglianza - al dichiarato scopo di controllare l'accesso al locale e fungere da deterrente per eventi criminosi, ma - in grado di controllare i lavoratori nell'atto di espletare le loro mansioni, in assenza di un preventivo accordo sindacale ovvero della autorizzazione della sede locale dell'Ispettorato nazionale del lavoro.
A nulla è valsa, inoltre, la circostanza che l'imputato avesse depositato una liberatoria sottoscritta da tutti i propri dipendenti, e precedentemente inviata all’Ispettorato del Lavoro, posto che il documento in questione non solo era stato formato successivamente alla materiale realizzazione della condotta a lui ascritta ed alla constatazione della sua esistenza, ma, in ogni caso, alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali di questa Corte, esso non poteva fungere da sostituto o della esistenza dell'accordo sindacale ovvero della autorizzazione rilasciata dall'organo pubblico.
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