La Corte Ue, con la sentenza C-561/2007, ha condannato l'Italia perché, nelle ipotesi di trasferimento d'azienda, non garantisce adeguatamente i dipendenti. In particolare, è stato rilevato che la Legge n. 428/1990 non è conforme a quanto disposto dalla Direttiva 2001/23/Ue, la quale prevede che, in caso di trasferimento d'azienda in stato di crisi, tutti i diritti e gli obblighi in capo al cedente in virtù del rapporto di lavoro, esistente alla data del trasferimento, passano al cessionario. Si tratta di una garanzia nei confronti dei lavoratori prevista anche nel nostro ordinamento dall'art. 2112 C.C., ma che è resa inapplicabile dalla L. 428/1990. Al riguardo, si è difesa l'Italia, la disapplicazione deriva da una deroga prevista dalla direttiva in riferimento a speciali circostanze. La richiamata legge si applica, infatti, ai trasferimenti di aziende per crisi che presentano particolare rilevanza sociale (per la situazione occupazionale locale e produttiva nel settore di riferimento); casi che, peraltro, possono costituire cause giustificative di licenziamento.
La Corte, a contrario, ha bocciato le giustificazioni indicate dall'Italia, in quanto basate su una non corretta interpretazione della Direttiva Ue. Mentre, infatti, questa prevede che sia possibile modificare le condizioni di lavoro dei lavoratori, la legge italiana priva semplicemente i lavoratori delle garanzie previste dalla direttiva.