Il TAR di Trento, con la sentenza n. 135/2017, ha affermato che, a fronte della scelta aziendale di procedere ad una operazione di fusione per incorporazione in presenza di una situazione di crisi aziendale, non si configurano i presupposti per giustificare la concessione dell’integrazione salariale ordinaria per contrazione dell’attività produttiva.

Secondo il Tar, infatti, rientra nel rischio di impresa la possibilità che nei primi tempi successivi alla fusione la società incorporante si venga a trovare in una situazione di esubero del personale, a causa di un incremento della forza lavoro non compensato da un corrispondente incremento delle commesse. In tale contesto, la società che intende accedere all’ammortizzatore sociale deve dimostrare che la fusione era connessa all’esistenza di nuove commesse, di entità tale da richiedere un maggior numero di lavoratori, e che tali commesse sono poi venute meno.

Nel caso che aveva dato origine al giudizio, per i lavoratori transitati alle dipendenze della società ricorrente in forza della fusione, la domanda di integrazione salariale ordinaria era stata respinta dall’Inps in quanto, secondo l'istituto, per costoro non si poteva configurare una sospensione/riduzione della prestazione lavorativa imputabile ad una situazione temporanea di mercato. Infatti, al momento della presentazione delle domande di concessione del trattamento di integrazione salariale, la programmazione aziendale era ben chiara, e se nel trimestre oggetto delle domande il personale della ricorrente non fosse stato incrementato per effetto della fusione, il numero di dipendenti costretti a ridurre l’attività lavorativa, per effetto del dichiarato calo delle commesse, sarebbe stato inferiore e coincidente con quello degli operai originariamente alle dipendenze della sola ricorrente (per i quali è stata invece concessa l’integrazione salariale). Ne consegue che la fusione per incorporazione, nel caso specifico, poteva essere considerata come frutto di una scelta di organizzazione aziendale, imputabile esclusivamente alla società ricorrente, che non poteva quindi beneficiare della socializzazione del costo del lavoro relativo ai dipendenti della società incorporata.