L’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 626 del 27 settembre 2021, ha chiarito che il reddito di lavoro dipendente prodotto da una cittadina italiana iscritta all’AIRE e dipendente di una società lussemburghese, che ha svolto la propria attività lavorativa in smart working in Italia da marzo 2020 ad oggi a causa del Covid, rileva fiscalmente anche in Italia.

Si deve premettere che secondo l’Agenzia delle Entrate, che ha già risposto in modo analogo ad altri interpelli, per individuare lo Stato contraente in cui si considera effettivamente svolta la prestazione lavorativa bisogna avere riguardo al luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato. Pertanto, nel caso specifico, l’attività si deve considerare svolta in Italia, dove la dipendente lavorava in smart working.

Quanto al caso concreto, la dipendente ha dichiarato di aver soggiornato in Italia per più di 183 giorni nel periodo di riferimento. Conseguentemente non risulta applicabile il paragrafo 2 dell’art. 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni, che esclude la tassazione concorrente nelle ipotesi in cui il soggiorno nell’altro Stato non oltrepassi i 183 giorni nell’anno fiscale.

La conseguente doppia imposizione è risolta, ai sensi dell’art. 24 della Convenzione tra Italia e Lussemburgo, attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta da parte di quest’ultimo Stato, che è lo Stato di residenza della lavoratrice.