Smart working e pandemia: i criteri del Fisco per la tassazione delle retribuzioni
A cura della redazione
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 458 del 7 luglio 2021, ha fornito nuovi chiarimenti in merito al trattamento fiscale delle retribuzioni per lavoro dipendente erogate a soggetti residenti e non residenti che, a causa dell’emergenza Covid-19, hanno svolto attività lavorativa in Italia, in smart working, invece che nel Paese estero dove erano stati distaccati.
Nel caso specifico, una società appartenente ad un gruppo internazionale aveva erogato compensi, nel 2020, a dipendenti italiani con residenza fiscale in Cina, Paese dove erano distaccati presso la consociata. Tali lavoratori erano rimasti bloccati in Italia a causa del Covid e, essendo impossibilitati a rientrare in Cina, avevano reso la prestazione in smart working dall’Italia (alcuni per meno di 184 gg, tenendo conto che il 2020 era bisestile, altri per un periodo più lungo).
Sulla questione smart working e tassazione occorre considerare in primo luogo che in base all’art. 15 del modello di convenzione OCSE, l’attività di lavoro dipendente è esercitata nel luogo ove il dipendente è fisicamente presente mentre svolge il lavoro a fronte del quale gli è corrisposto il reddito. L’OCSE, per evitare gli effetti distorsivi causati dalla pandemia che ha costretto all’immobilità molti lavoratori, ha invitato le autorità fiscali dei vari Paesi a tenere conto dell’eccezionalità del periodo e, quindi, ad effettuare la valutazione della residenza fiscale “neutralizzando” gli effetti dell’immobilità forzata. L’Italia, tenendo conto di tale indicazione, ha sottoscritto accordi con Francia, Austria e Svizzera. Tali accordi non possono però esplicare effetti, come precisa sin da subito l’interpello, nei confronti di altri Stati con i quali l’Italia ha stipulato Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, tra cui la Cina.
Sulla base di tale premessa, l’Agenzia delle Entrate ha fornito il seguente riscontro all’interpellante:
- Il compenso erogato per i giorni di lavoro in modalità smart working svolti in Italia dal lavoratore con residenza fiscale in Cina, se quest’ultimo ha trascorso in Italia, nel 2020, meno di 184 giorni, sono imponibili sia in Italia che in Cina. Ciò in quanto la retribuzione è erogata da un datore residente in Italia e, quindi, non sono soddisfatti i criteri per la tassazione esclusiva in Cina di cui al combinato disposto degli artt. 15 e 23 dell’accordo tra i due Paesi. La doppia imposizione è risolta con il meccanismo del riconoscimento del credito d’imposta da parte della Cina.
- Quanto ai lavoratori che hanno avuto una permanenza in Italia per più di 184 giorni durante il 2020, l’Agenzia ha precisato che secondo le regole interne devono essere considerati fiscalmente residenti in Italia perché qui hanno soggiornato per la maggior parte del periodo d’imposta. Resta fermo che in caso di controversie sulla residenza, assumono rilievo le “tie breaker rules”, come indicato nell’articolo 4 del Trattato con la Cina. Dette regole fanno prevalere il criterio dell'abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità. Quanto al tipo di tassazione da applicare, l’Agenzia specifica che, essendo appunto i lavoratori in questione considerati soggetti con residenza fiscale in Italia, per i motivi predetti, il loro reddito non può essere determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali.
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