Sanzione minima per lavoro nero illegittima: i datori hanno diritto al rimborso
A cura della redazione
L’INPS, con il messaggio n. 7280 del 2 dicembre 2015, ha ricordato che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 254/2014, anche per i periodi ricompresi tra il 12 agosto 2006 ed il 23 novembre 2010, non è applicabile il disposto dell’art. 36bis, c. 7, lett. a), del DL 223/2006 e non può essere richiesto il pagamento di sanzioni civili non inferiori ad euro 3.000 per ogni lavoratore.
Dovrà, di conseguenza, essere applicata la norma previgente che prevedeva per le situazioni in esame il pagamento di sanzioni civili pari al 30% annuo e comunque non superiori al 60% dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.
I datori di lavoro che hanno provveduto al versamento di somme a titolo di sanzione calcolate secondo il predetto art. 36bis hanno diritto al rimborso nei limiti della differenza tra quanto versato e quanto dovuto nella misura appena descritta. Allo scopo, gli stessi datori dovranno trasmettere un’istanza di rimborso, precisando gli importi indebitamente versati. La domanda sarà presentata attraverso il cassetto previdenziale, utilizzando la sezione “Rimborsi/compensazioni”, presente in “Versamenti F24”.
Per completezza, si ricorda che l’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del DL 223/2006 (L. 248/2006), aveva stabilito che, per i casi di impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria “l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore non può essere inferiore ad euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata”, introducendo, in sostanza, una soglia minima di 3.000 euro di sanzione per ogni lavoratore (sanzione eliminata, a decorrere dal 24.11.2010 dalla L. 183/2010).
Riproduzione riservata ©