L’Agenzia delle entrate, con la risposta n. 347 del 26/08/2019, ha precisato che l’assegnazione delle azioni, a seguito di aumento di capitale, ai consiglieri di amministrazione di una società, costituisce reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, con la conseguenza che l’azienda dovrà applicare la ritenuta d’acconto ex art. 24 del DPR 600/1973.

L’agenzia delle entrate giunge a questa conclusione partendo dal fatto che secondo l’art. 50 c.1 lett. c-bis) sono assimilati ai redditi i lavoro dipendente, tra l’altro, le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica.

Nel disciplinare le modalità di determinazione del reddito assimilato a quello i lavoro dipendente, l’art. 51 del TUIR sancisce il principio dell’onnicomprensività secondo cui tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in elazione al rapporto di lavoro, costituiscono reddito di lavoro dipendente per il lavoratore.

Rientrano tra gli emolumenti in natura anche le azioni offerte dal datore di lavoro ai propri dipendenti che costituiscono, in genere, redditi imponibili.

Per la determinazione del valore da assoggettare a imposizione, l’Agenzia richiama l’art. 9, c. 4, lett. b) del TUIR secondo cui per le azioni non quotate, per le quote di società non azionarie e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, il “valore normale” deve essere determinato in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente e, per le società e gli enti di nuova costituzione, in proporzione all’ammontare complessivo dei conferimenti.

In relazione all’interpretazione di questa disposizione, l’Agenzia è più volte intervenuta precisando che il valore normale delle azioni è fissato non in proporzione al patrimonio netto contabile, bensì in proporzione al valore del patrimonio netto effettivo della società o ente.

In conclusione se il valore normale delle azioni sottoscritte risulta maggiore del prezzo di sottoscrizione corrisposto ai consiglieri di amministrazione, la differenza rileverà nei confronti di questi ultimi, ognuno per la parte a lui riferibile, quale reddito assimilato a quello di lavoro dipendente.

Anche se uno dei consiglieri ha la residenza nel Regno Unito, l’Agenzia delle entrate precisa che l’eventuale differenza tra il valore normale e il prezzo di sottoscrizione sarà fiscalmente rilevante in Italia così come previsto dall’art. 23, c. 2, lett b) del TUIR.

Tuttavia l’operatività della riportata disposizione deve essere considerata in ragione della normativa internazionale, costituita dalla vigente Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con il Regno Unito che prevede una potestà concorrente tra lo Stato di residenza del consigliere di amministrazione e lo Stato in cui ha sede la società erogante.

Pertanto l’eventuale reddito assimilato a quello di lavoro dipendente prodotto in sede di sottoscrizione delle azioni rileverà sia nel Regno Unito che in Italia. L’azienda sarà quindi tenuta ad operare una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 30%.