L’orientamento su come proporre o riprogrammare i piani di welfare aziendale, nuovi o in corso, si sta definendo ormai. Covid-19 ne ha tracciato un nuovo sviluppo e fatto emergere una consapevolezza nuova soprattutto in ambito assicurativo e sanitario. Ma è opportuno scindere, innanzitutto, le caratteristiche del welfare pubblico dal welfare privato. Il primo è l’insieme delle prestazioni in natura e dei benefici monetari volti a rispondere a bisogni di base legati alla famiglia, all'infanzia, all'abitazione e a tutelare i cittadini dall'indigenza e dai rischi derivanti dall'assenza di reddito in caso di malattia, maternità, infortunio, invalidità, disoccupazione, vecchiaia. Rientrano inoltre, in questa definizione, le prestazioni che riguardano altri ambiti di particolare rilevanza sociale, come l’istruzione e la sanità. Al secondo, appartengo tutte le tipologie di welfare con funzioni integrative, alternative o parzialmente sostitutive del primo welfare. Il welfare privato è detto anche secondo welfare proprio in virtù della natura del finanziamento, non pubblico, che può essere erogato da attori privati come le aziende. Aziende che l’emergenza sanitaria in atto ha risvegliato facendo emergere la necessità di una rinnovata configurazione di una piattaforma welfare attraverso la quale ciascun collaboratore può scegliere in totale libertà e riservatezza come disporre dei crediti messi a sua disposizione dall'impresa dedicandoli a necessità diverse e oggi ritenute importanti. Tra queste, il lavoro agile con l’opportunità di godere di orari di lavoro flessibili (in ingresso - uscita e in pausa pranzo) lo smart working che prevede alcuni giorni (al mese o alla settimana) di lavoro da casa o da remoto, la banca ore, in cui gli eventuali straordinari vengono convertiti in premessi retribuiti e il job sharing familiare, ovvero, la possibilità di farsi sostituire in azienda dai figli maggiorenni e avere il tempo di gestire impegni familiari o personali, garantendo continuità.