Nullo il licenziamento ritorsivo
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza 9/07/2009 n.16155, ha deciso che l'art. 4 della L. 604/66 che sancisce il divieto di licenziamento discriminatorio (fattispecie disciplinata anche dall'art. 15 della L. 300/70 e dall'art. 3 della L. 108/90) può essere interpretato estensivamente così che tra i singoli motivi del divieto di recesso datoriale venga ricompreso anche il licenziamento per ritorsione, ossia quello intimato a seguito di comportamenti tenuti dal lavoratore e risultati sgraditi dal datore di lavoro.
Secondo la Suprema Corte l'interpretazione estensiva della norma trova il suo fondamento nel fatto che le indicazioni delle varie ipotesi di licenziamento discriminatorio costituiscono specificazione della più ampia fattispecie del licenziamento viziato da motivo illecito, riconducibile alla generale previsione codicistica dell'atto unilaterale nullo ai sensi dell'art. 1345 c.c..
A questo si aggiunga anche la considerazione che in questa ampia previsione normativa deve essere sicuramente ricompreso il licenziamento intimato per ritorsione e rappresaglia dato che in qualche modo anche questo implica una illecita discriminazione intesa in senso lato del lavoratore licenziato rispetto agli altri dipendenti dell'azienda.
Ne consegue, concludono i giudici di legittimità, che l'area di tutela del licenziamento discriminatorio, nella sua eccezione più ampia, attiene ai motivi che integrano il perseguimento di finalità contrarie all'ordine pubblico, al buon costume o attinenti ad altri scopi espressamente proibiti dalla legge e non quando rivelino altri fini che in sé non siano configgenti con tali divieti.
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