Lo smart working prolungato all’estero esclude il regime degli impatriati
A cura della redazione
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 621 del 23 settembre 2021, ha affermato che il datore di lavoro non può applicare l'agevolazione fiscale sugli impatriati ai redditi erogati al dipendente olandese assunto in Italia che per la maggior parte del 2020 ha svolto l’attività lavorativa in smart working dall’estero.
Per il periodo di imposta 2020, infatti, l'attività lavorativa non può essere considerata come svoltasi prevalentemente in Italia ai sensi del D.Lgs. n. 147/2015, e nemmeno i redditi dalla stessa derivanti.
Il lavoratore di cui all’interpello aveva lavorato in remoto in Olanda più di 184 giorni. L’Agenzia ha ribadito che il luogo di prestazione dell’attività lavorativa, in caso di smart working, è quello dove il dipendente è fisicamente presente quando esercita l’attività per cui è remunerato (nel caso specifico l’Olanda).
Rimane fermo che, se il reddito in esame si deve assoggettare a imposizione in Olanda in base alla Convenzione contro le doppie imposizioni, il contribuente, considerato fiscalmente residente in Italia secondo le previsioni dell'articolo 2 del Tuir, potrà fruire del credito per le imposte estere nei limiti e alle condizioni previste nell'articolo 165 del Tuir.
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