Legittimo il licenziamento se la satira travalica il limite della continenza formale
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza 6/06/2018 n.14527, ha deciso che è legittimo il licenziamento del dipendente che nell’esercizio del diritto di satira supera il limite della c.d. continenza formale.
Nel caso in esame alcuni lavoratori erano stati licenziati poiché nell’area antistante il fabbricato aziendale avevano realizzato una macabra rappresentazione scenica e più precisamente il finto suicidio dell’amministratore delegato della società, tramite impiccagione su un patibolo accerchiato da tute macchiate di rosso e del successivo funerale con contestuale affissione di un manifesto, come testamento, ove si attribuivano all’amministratore stesso le morti per suicidio di alcuni lavoratori e la deportazione di altri in un altro stabilimento.
Il Tribunale del lavoro, a cui si erano rivolti i lavoratori, aveva dichiarato legittimo il licenziamento, mentre di diverso avviso la Corte d’Appello che aveva condannato la società alla reintegrazione, sostenendo che quanto rappresentato dai lavoratori dovesse essere inquadrato nell’esercizio del legittimo diritto di critica dei dipendenti, in quando rispettoso dei limiti di continenza sostanziale e di continenza formale.
Si è così giunti dinnanzi alla Corte di Cassazione la quale ha ricordato che nel caso vi siano più interessi confliggenti tra loro, l’interesse della persona o dell’impresa oggetto di affermazioni lesive, da un parte, e l’interesse contrapposto di chi ne è l’autore alla libera manifestazione del pensiero dall’altra, occorre trovare un punto di intersezione e di equilibrio che va individuato nel limite in cui il secondo interesse non rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro di chi ne è destinatario.
I giudici di legittimità hanno anche richiamato le precedenti pronunce (Cass. 14485/2000 e 7091/2001) secondo cui il diritto di satira non si sottrae al limite della c.d. continenza formale, ossia non può essere sganciato da ogni limite di forma espositiva.
La rappresentazione scenica invece ha esorbitato dai limiti della continenza formale attribuendo all’amministratore delegato qualità riprovevoli e moralmente disonorevoli, esponendo il destinatario al pubblico dileggio, effettuando accostamenti e riferimenti violenti e deprecabili in modo da suscitare sdegno, disistima nonché derisione e rirrisione e travalicando dunque il limite delal tutela della persona umana richiesto dall’art. 2 Cost.
In sostanza, l’esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica delle decisioni aziendali, sebbene garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale che sono imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente garantita (art.2 Cost.), di tutela della persona umana, sicché, ove tali limiti siano superati, con l’attribuzione all’impresa datoriale od ai suoi rappresentanti di qualità apertamente disonorevoli, di riferimenti volgari e infamanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo e il dileggio, il comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenziamento, pur in mancanza degli elementi soggetti ed oggettivi costitutivi della fattispecie penale della diffamazione.
Riproduzione riservata ©