Legittimo il licenziamento del lavoratore che offende il superiore gerarchico
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza 11/05/2016 n.9635, ha deciso che il datore di lavoro può legittimamente licenziare il proprio dipendente che durante lo svolgimento dell’attività rivolge al suo superiore gerarchico espressioni ingiuriose.
Secondo la Suprema Corte, infatti, la nozione di insubordinazione, che i giudici territoriali non hanno ravvisato nella condotta del lavoratore, non può essere limitata al rifiuto di adempiere alle disposizioni impartite dai superiori, ma si deve estendere a qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicarne l’esecuzione nel quadro dell’organizzazione aziendale.
Pertanto le critiche rivolte dal dipendente ai superiori gerarchici con modalità esorbitanti dall’obbligo di correttezza formale dei toni e dei contenuti, oltre a contravvenire alle esigenze di tutela della persona umana garantite dall’art. 2 Cost., può essere di per se suscettibile di arrecare pregiudizio all’organizzazione aziendale (Cass. 5804/1987), dal momento che l’efficacia di quest’ultima risiede nell’analisi sull’autorevolezza di cui godono i dirigenti e i quadri intermedi e tale autorevolezza non può non risentire un pregiudizio nel caso in cui il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli.
Ai fini della legittimità o meno del licenziamento non rileva neppure che il CCNL tipicizza come ipotesi di giusta causa di recesso soltanto condotte che devono essere non solo verbali ma anche fisicamente aggressive. Infatti la giusta causa di licenziamento ha fonte legale e il giudice di merito non può ritenersi vincolato alle previsioni dettate dal contratto collettivo, potendo e dovendo invece ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, e potendo e dovendo specularmente escludere che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (Cass. 4060/2011).
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