Legittimo adibire il lavoratore a mansioni estranee alla professionalità se rientrano nel livello di inquadramento
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 1/07/2019 n.17634, ha deciso che non viola i principi di cui all’art. 2103 c.c. adibire il lavoratore a mansioni dello stesso livello di inquadramento previsto contrattualmente anche se in parte estranee alla professionalità e all’esperienza pregresse, in assenza di ulteriori posizioni di lavoro di analogo contenuto professionale.
Ad una lavoratrice, a seguito della riorganizzazione aziendale ed eliminazione delle figure professionali di supporto alla vendita in cui lei rientrava, erano state proposte due possibilità di ricollocamento: una sempre di addetta al supporto alla vendita ma presso un’altra sede e l’altra di venditrice presso il negozio aziendale unificato . La lavoratrice le ha rifiutate entrambe, così l’azienda l’ha adibita alle mansioni di call center.
La lavoratrice, sentendosi demansionata, ha proposto ricorso davanti al giudice del lavoro chiedendo che l’azienda venisse condannata a riammetterla nelle mansioni precedentemente svolte ed al risarcimento del danno.
Sia il giudice di primo grado che la Corte d’appello hanno rigettato le doglianze della lavoratrice sostenendo che le mansioni svolte in qualità di addetta al call center non fossero dequalificanti rispetto a quelle svolte in precedenza perché rientravano pur sempre nel livello di inquadramento posseduto e ad esse equivalenti, non essendo rilevante la circostanza che venissero di fatto svolte maggiormente alcune attività, verosimilmente più semplici, dato che la lavoratrice doveva comunque conoscere approfonditamente i software aziendali per gestire direttamente il cliente e che comunque l’attribuzione di dette mansioni erano derivate dall’inesistenza delle pregresse mansioni svolte e dal rifiuto opposto dalla lavoratrice di accettare il trasferimento presso l’altra sede di lavoro.
L’azienda è così ricorsa alla Suprema Corte che ha richiamato pronunce precedenti (Cass. N. 4766/2006 e 4211/2016) secondo cui costituendo il demansionamento un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2103 c.c., su di lui incombe l’onere di provare l’esatto adempimento di tale obbligo, oppure l’impossibilità dell’adempimento derivante da causa a lui non imputabile, in base all’art. 1218 c.c..
Il rifiuto opposto dalla lavoratrice di accettare le due posizioni di lavoro offerte dalla società è stato pertanto correttamente ritenuto dalla corte di merito elemento di esonero dalla responsabilità per l’inadempimento.
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