La parola residuo genera psicologicamente una riflessione su ciò che è marginale, scartato o non utilizzato. In ambito welfare, con questo termine si fa riferimento ad una porzione di premio welfare che non viene spesa dal lavoratore nell’arco temporale prevista dal piano. Con una risposta dell’Agenzia delle Entrate, la numero 311/2021, si sottolinea un aspetto interessante che riguarda la gestione dei residui, che mediamente arriva anche al 25% del premio inutilizzato. Generalmente, la maggior parte delle imprese invitava i propri dipendenti a destinare i valori residui ad una forma specifica di welfare aziendale, come ad esempio a ( fondi di sanità integrativa, fondi di previdenza complementare o CRAL aziendali, se esistenti). Se il premio welfare era frutto della conversione del Premio di Risultato era anche possibile fruire di questa somma in denaro (ovviamente con la relativa tassazione) L’Agenzia delle Entrate ha quindi deciso di garantire la cumulabilità dei residui non spesi con il budget individuale dell’anno successivo. Nel caso di mancato utilizzo, in tutto o in parte, del credito welfare maturato nel secondo anno, nel limite temporale di validità del piano, a condizione che queste somme non siano in ogni caso convertibili in denaro.