La confessione indotta legittima il licenziamento disciplinare
A cura della redazione

La Corte di Cassazione Civile Sez. Lavoro, con la sentenza n. 14047 del 17 giugno 2009, ha stabilito la legittimità del licenziamento disciplinare nel caso in cui fatti contestati al lavoratore siano ammessi espressamente dallo stesso, anche se non spontaneamente.
È stato, così, confermato il licenziamento di un dipendente di una banca che aveva autorizzato, in favore di alcuni clienti, operazioni in grave violazione di norme interne e in materia di antiriciclaggio.
Il lavoratore aveva sostenuto che i giudici di merito avessero illegittimamente ritenuto che le dichiarazioni da lui rese in un incontro, programmato, col datore costituissero confessione stragiudiziale.
La confessione stragiudiziale, ha specificato la suprema Corte, consiste in una dichiarazione, resa con la coscienza e la volontà di riconoscere un fatto, a sé obiettivamente sfavorevole e favorevole all'altra parte. La coscienza e volontà che integra l'animus confitendi (che, nel caso de quo, il ricorrente riteneva mancasse), quale necessità ritenuta dalla giurisprudenza di legittimità avvolge solo l'oggettività della dichiarazione in sé e non le relative conseguenze. Non è, quindi, necessaria la consapevolezza dell'obiettiva incidenza e delle conseguenze giuridiche dell'atto.
Riproduzione riservata ©