L’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 25 del 4 ottobre 2018, ha fornito chiarimenti in merito alla Convenzione tra Italia e Lussemburgo per evitare le doppie imposizioni ratificata dalla L. 747/1982.

In particolare, la Convenzione precisa, all’art. 4, paragrafo 2, che, nel caso in cui una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti la Convenzione, il contribuente è considerato, innanzitutto, residente nello Stato in cui dispone di un’abitazione permanente e, in subordine, (laddove disponga di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati), la residenza di una persona fisica sarà determinata secondo i seguenti criteri residuali disposti in ordine decrescente:

  • ubicazione del centro degli interessi vitali (la persona fisica che dispone di un’abitazione principale in entrambi gli Stati sarà considerata residente nel Paese nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette);
  • dimora abituale (ove non sia possibile individuare la residenza del contribuente in base ai due criteri sopra citati, una persona fisica sarà considerata residente dello Stato in cui soggiorna abitualmente);
  • nazionalità della persona fisica (quando i primi tre criteri non sono dirimenti, il contribuente sarà considerato residente dello Stato contraente la Convenzione di cui possiede la nazionalità);
  • quando, infine, una persona fisica ha la nazionalità di entrambi i Paesi o di nessuno di essi, gli Stati contraenti il Trattato internazionale risolveranno la questione di comune accordo.

Ciò premesso, se il lavoratore dovesse risultare fiscalmente residente in Italia nelle annualità considerate (2017 e 2018) tutti i redditi percepiti dallo stesso dovunque prodotti (tra cui, ovviamente, i redditi da lavoro dipendente svolto in Lussemburgo) dovrebbero essere dichiarati ed assoggettati ad imposizione nel nostro Paese.

Al riguardo, si rileva che l’art. 15, paragrafo 1, della Convenzione prevede l’assoggettamento ad imposizione concorrente nello Stato della fonte del reddito ed in quello di residenza del contribuente, dei redditi da lavoro subordinato.

In tale ipotesi, tuttavia, il lavoratore avrebbe la possibilità di evitare l’eventuale doppia imposizione sul reddito, sulla base di quanto previsto dall’art. 24, paragrafo 2, della Convezione, ai sensi del quale “Se un residente dell’Italia possiede elementi di reddito che sono imponibili nel Lussemburgo, l’Italia nel calcolare le proprie imposte sul reddito … può includere nella base imponibile di tali imposte detti elementi di reddito, a meno che espresse disposizioni della presente Convenzione non stabiliscano diversamente. In tal caso, l’Italia deve dedurre dalle imposte così calcolate l’imposta sul reddito pagata nel Lussemburgo, ma l’ammontare della deduzione non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo”.

Diversamente, in relazione alle annualità 2017 e 2018, nel caso in cui l’istante sia in grado di dimostrare, per la maggior parte del periodo d’imposta, oltre all’iscrizione all’AIRE, di non avere in Italia né domicilio né residenza ai sensi dell’articolo 43 del codice civile, lo stesso dovrà considerarsi fiscalmente residente all’estero.

In tal caso l’istante dovrà porre in essere gli adempimenti previsti per tali soggetti, ossia l’indicazione in dichiarazione dei soli redditi prodotti in Italia.