Indennità di fine rapporto: contano i risultati dell'attività dell'agente
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12724 dell'1 giugno 2009, ha stabilito che, per il calcolo dell'indennità di fine rapporto dell'agente, la comparazione tra la legge ed il contratto collettivo per l'applicazione del trattamento di miglior favore non può essere fatta ex ante ma deve essere effettuata in concreto, in base, cioè, ai risultati effettivamente conseguiti dall'agente.
L'indennità prevista dall'Accordo economico collettivo 27.11.1992 rappresenta, pertanto, un trattamento minimo garantito, che viene ad essere considerato di maggior favore solo nel caso in cui, in concreto, non spetti all'agente l'indennità di legge in misura inferiore.
In sostanza, la Suprema Corte ha espressamente statuito che, "al fine della quantificazione dell'indennità di cessazione del rapporto spettante all'agente, ove risultino dimostrate le circostanze di fatto previste dall'art. 1751, comma 1, C.C. (ossia di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti, sempre che il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti), il giudice è tenuto a verificare se nei limiti posti dal comma 3 del medesimo art. 1751, la quantificazione dell'indennità calcolata sulla base dei criteri posti dall'Accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 sia corrispondente al canone di equità prescritto dal medesimo art. 1751, comma 1, tenuto conto di tutte le circostanze del caso ed in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti, e, ove non la ritenga tale, deve - in mancanza di una specifica disciplina collettiva - riconoscere all'agente il differenziale necessario per riportarla ad equità".
Riproduzione riservata ©