La Corte di Cassazione, con la sentenza 20/04/2011 n.9043, ha deciso che il lavoratore che presta la sua attività all’interno dell’impresa familiare, se intende far valere il la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato deve fornire specifica prova.
Infatti secondo i giudici di legittimità in via generale vige il principio secondo cui l’attività prestata da persone legate da un rapporto di coniugio, parentela o affinità, si presume gratuita e non ricollegabile a un rapporto di lavoro.
Ne consegue che la mera prestazione di attività lavorativa non è di per sé sufficiente a far configurare un rapporto di lavoro subordinato, dovendo ricorrere altri criteri distintivi quali: la presenza degli elementi formali, come la lettera di assunzione e la busta paga, il nesso di corrispettività e obbligatorietà tra la prestazione lavorativa e quella retributiva, la continuità e sistematicità della prestazione, il regolare versamento della contribuzione, l’assoggettamento del rapporto al potere direttivo e ai controlli del datore di lavoro con l’applicazione delle eventuali sanzioni disciplinari.
I predetti tratti costitutivi e la volontà delle parti però non sono sufficienti a far ritenere genuina una prestazione lavorativa tra familiari, con la conseguenze che oltre alle concrete modalità di svolgimento del lavoro, assume rilevanza fondamentale l’onere della prova, da parte di chi vuole far valere in giudizio gli effetti e i diritti derivanti dal rapporto di lavoro subordinato, che deve essere puntuale e determinante.