Impatriati: sufficienti due anni di residenza all’estero
A cura della redazione
L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 51E del 6 luglio 2018, ha fornito importanti chiarimenti in merito ai requisiti necessari per la fruizione dei benefici fiscali (imponibilità del 50% del reddito prodotto in Italia) in favore dei lavoratori “impatriati”.
Si ricorda, in particolare, che, ai sensi dell’art. 16, c. 2, del D.Lgs. 147/2015, sono destinatari del beneficio fiscale in esame i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extraeuropeo con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, che:
- sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, o
- hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
Per accedere al regime speciale per i lavoratori impatriati, la norma presuppone, inoltre, che il soggetto non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio.
A tal fine, si osserva che l’art. 16 in commento non indica espressamente, per i soggetti di cui al comma 2, un periodo minimo di residenza estera, come, invece, previsto per i soggetti di cui al comma 1 del medesimo articolo (permanenza all’estero per i cinque periodi di imposta precedenti al trasferimento in Italia).
Considerato, tuttavia, che il citato comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro all’estero di due anni, l’Agenzia delle Entrate ritiene che, per tali soggetti, la residenza all’estero per almeno due periodi d’imposta costituisca il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo.
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