L’Agenzia delle entrate, con la Risposta all’interpello n. 72 del 12 marzo 2025, ha precisato che l’elevazione del periodo di residenza fiscale all’estero da 3 periodi d’imposta a 6 oppure 7 a seconda che il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero abbia svolto oppure no attività presso lo stesso datore di lavoro (o soggetto appartenente allo stesso gruppo) trova applicazione anche se viene svolto in Italia un lavoro autonomo.

Ciò trova conferma nel fatto che il Dlgs 209/2023 non specifica la tipologia di rapporto contrattuale che deve intercorrere tra i soggetti; dunque, il periodo minimo di pregressa permanenza all'estero è aumentato a sei o sette anni in tutte le ipotesi in cui il contribuente (lavoratore dipendente, assimilato o lavoratore autonomo) al rientro in Italia presti l'attività lavorativa per il medesimo soggetto (datore/gruppo) per il quale ha lavorato all'estero.

Quindi il contribuente che al rientro in Italia intraprende un'attività professionale e rende le proprie prestazioni professionali anche nei confronti del suo precedente datore di lavoro estero, il periodo minimo di permanenza all'estero è di sei periodi d'imposta (ovvero di sette periodi d'imposta qualora sia stato impiegato in Italia, prima del trasferimento, per lo stesso datore di lavoro).

Nel caso sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle entrate, l'Istante dichiara che sta valutando un rientro in Italia a partire da gennaio 2025 per esercitare una attività di lavoro autonomo, emettendo parcelle principalmente ma non esclusivamente intestate ad una società appartenente al medesimo gruppo della società per la quale è stato impiegato all'estero e per la quale lavorava in Italia anche prima del suo trasferimento all'estero.

Ne deriva che, in applicazione dei principi su esposti, il periodo minimo di permanenza all'estero necessario ai fini dell'applicazione del regime agevolato per gli impatriati è di sette periodi d'imposta.