La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21971 del 27 ottobre 2010, ha stabilito che la cleptomania non solleva il lavoratore dalla responsabilità per appropriazioni indebite, se non vi sia anche incapacità di intendere e di volere.
La sentenza in esame riguarda il caso di un dipendente di banca che, licenziato per essersi appropriato, con vari indebiti prelievi, di diverse somme, aveva tentato di giustificarsi adducendo di essere affetto da cleptomania.
Nel decidere, la Suprema Corte ha richiamato, in particolare, le argomentazioni svolte dai consulenti di parte le quali hanno evidenziato una diagnosi di cleptomania ma, al contempo, hanno escluso una generale incapacità del soggetto di rendersi conto del significato della proprie azioni. La cleptomania, intesa come tendenza impulsiva ad appropriarsi di un oggetto, non comporta, infatti, un’assoluta incapacità di intendere e di volere.