Motivazioni diverse animano i lavoratori per un ritorno al lavoro in presenza, grazie anche alla manifesta volontà di riprendere l’attività sul posto del lavoro di quasi l’80% dei lavoratori. La necessità di riprendere la propria postazione nelle diverse attività lavorative nasce anche dalla preoccupazione di subire una mancata crescita professionale, e, come prevedibile, lo smart working ha anche favorito lo sbilanciamento verso una concezione del lavoro che può essere svolto ovunque, travisando le conquiste soprattutto in ambito di sicurezza e privacy. Molte aziende stanno valutando delle soluzioni ibride, valutando pur sempre degli investimenti immobiliari, ma valutando nel contempo l’abolizione definitiva dell’obbligo della timbratura. Sono molti gli occupati che presentano disagi del lavorare da casa, come l’aumento del tempo dedicato al lavoro che contamina inevitabilmente il tempo dedicato al lavoro domestico: registrando conseguentemente un aumento dello stress per il raggiungimento dei risultati. Il miglioramento del clima aziendale, caposaldo del welfare, è di conseguenza compromesso, avendo annullato confronti e relazioni tra i lavoratori. Un aspetto importante, sottolineato dal 33% dei lavoratori, è la preoccupazione che lo smart working penalizzi la carriera e la crescita professionale, che presenta si delle variabili molto personali, ma che fino a ieri erano gestite in presenza e tramite confronti di merito diretti e difficilmente valutabili con la forza lavoro operativa a distanza. Un passaggio di forte penalizzazione dello smart working è nei confronti dei buoni pasto: uno dei benefits  costituenti e fondamentali, in ambito welfare, che ha subito una significativa contrazione che sfiora il 35%, in parte riconducibile ai lavoratori in cassa integrazione o con attività purtroppo sospese, in parte dovuta alla sospensione, per scelta unilaterale, da parte delle aziende per il periodo pandemico in essere.