I corsi di lingua e l’abbonamento alla palestra non possono essere rimborsati
A cura della redazione

Secondo la lett. f) dell’art.51, c.2 del TUIR non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente “l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell'articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell'articolo 100”.
Le finalità a cui fa riferimento l’art. 100 del TUIR sono: l’educazione, l’istruzione, la ricreazione, l’assistenza sociale e sanitaria e infine il culto.
Il fatto che il legislatore nella lettera f) non abbia utilizzato il termine “somme”, come invece risulta presente nelle successive lettere, porta ad escludere la rimborsabilità delle spese aventi quelle finalità, così come confermato anche dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 28/E del 2016 secondo cui “la disposizione (lett. f) si differenzia dalle successive lettere f-bis) ed f-ter) in quanto non comprende le somme di denaro erogate ai dipendenti a titolo di rimborsi di spese, anche se documentate, da impiegare per opere e servizi aventi le citate finalità”.
Ma cosa rientra nella lettera f)? Si pensi ad esempio ai corsi di lingua, di informatica, di musica, di teatro o di danza, oppure ai servizi di checkup medico, agli abbonamenti a teatro, al cinema, alle payTV, alla palestra, ai cicli di terapie mediche oppure al pacchetto di lezioni di nuoto, solo per citare quelli più ricorrenti.
In questo caso, se il datore di lavoro li vuole riconoscere ai propri dipendenti attraverso l’adozione di un piano welfare, deve attivare delle apposite convenzioni con le varie strutture e sostenere direttamente il costo.
Il datore di lavoro può erogare i citati beni e servizi ricorrendo anche ai documenti di legittimazione (c.d. voucher), di cui al comma 3-bis dell’art.51, in formato cartaceo o elettronico, riportanti il valore nominale.
Questi documenti però non possono essere utilizzati da una persona diversa dal titolare, non possono essere monetizzati né ceduti a terzi e danno diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale senza integrazioni di parte del titolare.
Quindi se il voucher, ad esempio, riconosce il diritto a frequentare un corso di inglese, il dipendente non può integrare il valore del documento di legittimazione e fruire di un corso di cinese (che risulta più costoso).
Invece, se il voucher riconosce il diritto a 5 rappresentazioni teatrali e il lavoratore vuole poi seguire tutte quelle inserite in rassegna, potrà pagare direttamente le successive al teatro.
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