La Corte Costituzionale, con tre diverse sentenze n. 250, 252 e 253, del 8 luglio 2010, si è espressa sul reato di ingresso e soggiorno illegale in Italia, introdotto nel 2009, stabilendo che lo stesso non viola i precetti costituzionali e, pertanto, è da considerarsi legittimo.

Alla base della decisione, contenuta nella sentenza 250 (relatore Giuseppe Frigo), il fatto che "il bene giuridico protetto" dalla norma è "identificabile nell'interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori". Nella sentenza si legge che "l'ordinata gestione dei flussi migratori" infatti, "si presenta come un bene giuridico strumentale, attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici 'finali', di sicuro rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata" e il potere di disciplinare l'immigrazione rappresenta "un profilo essenziale di sovranità dello Stato, in quanto espressione di controllo del territorio". A sollevare le questioni alla Corte erano stati i giudici di pace di Lecco e Torino, e per tutta risposta la Consulta fa notare che la norma impugnata non sancisce una "presunzione assoluta di pericolosità sociale dell'immigrato, ma si limita a reprimere la commissione di un fatto oggettivamente e comunque antigiuridico, offensivo di un interesse reputato meritevole di tutela: violazione riscontrabile indipendentemente dalla personalità dell'autore". Per questo, il reato di clandestinità non è diretto "a sanzionare la condotta di vita e i propositi del migrante irregolare, i quali, ove assumano connotazioni criminose troveranno eventualmente risposta punitiva in altre norme, quanto piuttosto e soltanto l'inosservanza delle norme sull'ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato".