La Corte di Cassazione, con al sentenza 09/03/2010 n.5636, ha deciso che deve qualificarsi come rapporto di lavoro subordinato la prestazione resa con carattere di continuità come collaboratrice domestica nei confronti di una persona che provvede ad erogare la retribuzione e impartisce le direttive di lavoro.
Più precisamente secondo la Suprema Corte, nei casi di difficile qualificazione del rapporto domestico per insufficienza di elementi probatori forniti dalle parti, la sussistenza dell'essenziale criterio distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, deve necessariamente essere verificata sulla base di elementi sussidiari che il giudice di merito deve individuare con accertamento di fatto, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario predeterminato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell'assenza in capo al lavoratore di una pur minima struttura imprenditoriale. Questi ultimi possono essere valutati globalmente dal giudice di merito come indizi probatori della subordinazione.
Quindi se la collaboratrice riesce a provare di aver espletato con continuità prestazioni lavorative a favore di una persona abitante nella casa, la quale provvedeva anche ad erogare periodicamente il compenso, spetta a quest'ultima, al fine di escludere la propria qualità di datore di lavoro, provare la sussistenza della titolarità del rapporto di lavoro in capo ad una terza persona.