Dipendente da azienda cinese e smart working in Italia: il reddito si tassa due volte
A cura della redazione
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 99 del 19 gennaio 2023, ha chiarito che il reddito prodotto in Italia da lavoratore italiano iscritto all’AIRE, dipendente da azienda in Cina, che, per la maggior parte del periodo di imposta è costretto, nel 2020, a svolgere la propria attività in modalità agile dall’Italia a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia da COVID-19, è tassato in entrambi gli Stati secondo il Trattato Italia – Cina per evitare le doppie imposizioni.
Nella fattispecie esaminata, secondo l’Amministrazione finanziaria, sul piano del diritto convenzionale, assume rilievo l'art. 4 del Trattato con la Cina che stabilisce, al par. 2, le cosiddette tie breaker rules per dirimere eventuali conflitti di residenza tra gli Stati contraenti.
Dette regole fanno prevalere il criterio dell'abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità.
Ciò posto, si osserva come una persona fisica iscritta all'AIRE e rientrata in Italia unicamente a seguito dell'emergenza COVID è considerata fiscalmente residente in Italia secondo le disposizioni interne se risulta avere il domicilio nel nostro Paese per la maggior parte del periodo d'imposta.
Qualora si verificasse un conflitto di residenza con lo Stato estero, questo dovrebbe essere risolto facendo ricorso ai criteri convenzionali.
In tale ipotesi, come anche indicato al par. 44 dell'analisi effettuata dal Segretariato OCSE sui trattati e l'impatto della crisi da COVID19, nel caso in cui il soggetto disponga di un'abitazione permanente in entrambi gli Stati, occorrerà verificare gli altri criteri; il conflitto di residenza sarà solitamente risolto usando il criterio del ''soggiorno abituale''.
Con specifico riferimento al criterio del ''soggiorno abituale'', si richiama il par. 19 del Commentario del Modello OCSE, in cui si precisa che il test per dirimere il conflitto di residenza non sarà soddisfatto semplicemente determinando in quale dei due Stati contraenti l'individuo ha trascorso più giorni durante il periodo interessato.
Al fine di stabilire il luogo del soggiorno abituale, occorre infatti tener conto della frequenza, durata e regolarità dei soggiorni che fanno parte della routine della vita di un individuo. Inoltre, l'analisi deve coprire un periodo di tempo sufficiente per poter accertare tali aspetti evitando l'influenza di situazioni transitorie.
Pertanto, qualora in sede di accertamento fosse contestata all'istante la residenza fiscale in Italia nel 2020, la stessa dovrebbe essere appurata non soltanto in virtù degli elementi richiesti dalla vigente normativa interna italiana (art. 2, c. 2, del TUIR) quanto sulla base dei criteri stabiliti nella citata Convenzione tra l'Italia e la Cina, valorizzando i fatti e le circostanze specifiche (come, ad esempio, la disponibilità di un'abitazione permanente in Cina, l'assenza di familiari in Italia, le sue relazioni personali ed economiche).
Premesso quanto sopra, in relazione quesito posto dal contribuente, l’Agenzia delle Entrate ha osservato quanto segue.
Ai sensi dell'art. 3, c. 1, del TUIR, i soggetti non residenti sono tassati in Italia solo in relazione ai redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano. Sulla base delle disposizioni contenute nell'art. 23, c. 1, lett. c) del TUIR, si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi di lavoro dipendente prestato, da soggetti non residenti, nel territorio italiano.
Tale disposizione non trova applicazione qualora il nostro Paese abbia stipulato, con lo Stato di residenza del lavoratore, una convenzione per evitare le doppie imposizioni che riconosca a quest'ultimo Stato la potestà impositiva esclusiva sul reddito di lavoro dipendente prestato in Italia.
Al riguardo, si fa presente che l'art. 15, par. 1 “Lavoro Subordinato” del suddetto Trattato internazionale prevede che le remunerazioni percepite da un residente di uno Stato contraente per «l'attività dipendente» svolta nell'altro Stato contraente, sono imponibili in entrambi i Paesi.
In base al combinato disposto dell'art. 15 della citata Convenzione e dell'art. 23 del TUIR, l’A.E. è, dunque, dell'avviso che il reddito di lavoro dipendente percepito dall'istante residente in Cina, per l'attività di lavoro svolta nel 2020 in Italia, rilevi fiscalmente anche nel nostro Paese, ai sensi degli articoli 49 e 51, commi da 1 a 8, del TUIR.
Si fa, altresì, presente che, nella fattispecie rappresentata dall'istante non può trovare applicazione il disposto del par. 2 dell'art. 15 della Convenzione in esame, secondo cui “le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un'attività dipendente svolta nell'altro Stato contraente sono imponibili soltanto nel detto primo Stato se:
a) il beneficiario soggiorna nell'altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell'anno solare considerato; e
b) le remunerazioni sono pagate da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente dell'altro Stato; e
c) l'onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell'altro Stato”.
Considerato che l'istante ha soggiornato in Italia nell'anno di riferimento per un periodo superiore ai 183 giorni, non si ritiene soddisfatta la condizione di cui alla citata lett. a) e, conseguentemente, le remunerazioni de quibus risultano imponibili in entrambi gli Stati. La conseguente doppia imposizione sarà risolta, ai sensi dell'art. 23, par. 3, della Convenzione, attraverso il riconoscimento di un credito d'imposta da parte della Cina, Stato di residenza del contribuente.
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