Demansionamento: il danno ulteriore alla professionalità deve essere provato
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19831 del 20 settembre 2010, ha stabilito che, nel regime di tutela reale di cui alla Legge n. 300 del 1970, articolo 18, avverso i licenziamenti illegittimi, sebbene la predeterminazione legale del danno risarcibile in favore del lavoratore (con riferimento alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione) non escluda che il lavoratore possa chiedere il risarcimento del danno ulteriore (come il danno alla professionalità) che gli sia derivato dal ritardo della reintegra, occorre, pur sempre che sia il lavoratore a dimostrare di avere subito danni alla propria professionalità e alla propria immagine ulteriori e diversi da quelli già indennizzati attraverso l'attribuzione dell’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto per il periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegrazione.
La Suprema Corte aggiunge, infine, che l'indennità dovuta ai sensi dello Statuto dei Lavoratori (art. 18) è già di per sé destinata a risarcire il danno intrinsecamente connesso all’impossibilità materiale per il lavoratore non reintegrato di eseguire la propria prestazione lavorativa, con la conseguenza che ogni eventuale lesione della professionalità diversa ed ulteriore da quella legata al fatto oggettivo della cessazione della prestazione lavorativa va dedotta e provata dal lavoratore che ne pretenda il ristoro.
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