La Fondazione Studi dei CDL, con l’approfondimento del 26/10/2018, affronta la questione del regime contributivo applicabile ai premi di produttività che vengono convertiti in previdenza complementare o assistenza sanitaria integrativa previsti da un accordo aziendale.

Il problema sorge poiché l’armonizzazione della base imponibile contributiva e fiscale (D.Lgs. 314/1997) non opera per tutti i fringe benefit, con la conseguenza che se il TUIR esonera fiscalmente un determinato bene o servizio, la normativa previdenziale (L. 153/1969) ne prevede invece l’assoggettamento a contribuzione, anche se in misura ridotta.

Questo disallineamento delle basi imponibili contributive e fiscali trova applicazione anche in riferimento dei contributi versati alla previdenza complementare.

In particolare l’art. 12, c. 4, lett.f) della L. 153/1969 distingue due fattispecie:

1 – i contributi e le somme a carico del datore di lavoro o accantonate, sotto qualsiasi forma, a finanziamento delle forme pensionistiche complementari, che sono assoggettati al contributo di solidarietà del 10%;

2 – le quote e gli elementi retributivi a carico del lavoratore destinati al finanziamento delle forme pensionistiche complementari, che sono assoggettati a contribuzione ordinaria.

I premi di produttività convertiti in previdenza complementare in quale delle due fattispecie rientrano?

Secondo la Fondazione Studi esistono due orientamenti:

- Il primo orientamento inquadra i premi di risultato convertiti in previdenza complementare (o casse sanitarie integrative del SSN) all’interno del primo periodo del citato art. 12, c.4, lett. f) e quindi «a carico del datore di lavoro» in quanto l’onere e finanziario teso a finanziare i premi conseguentemente mutati in contributi è a carico del datore di lavoro, con la conseguenza che trova applicazione l’assoggettamento a contribuzione ridotta (contributo di solidarietà del 10%);

- Il secondo orientamento inquadra i premi di risultato convertiti in previdenza complementare (o casse sanitarie integrative del SSN) all’interno del secondo periodo del citato art. 12, c.4, lett. f) e quindi «a carico del lavoratore» in quanto la scelta viene effettuata dal dipendente, con la conseguenza che trova applicazione l’assoggettamento a contribuzione piena.

La Fondazione Studi propende per il primo orientamento poiché il contributo versato alla previdenza complementare ha origine da un premio di risultato che «non entra mai nella disponibilità del dipendente», ma transita direttamente dal datore di lavoro al Fondo.

Secondo la Fondazione Studi ciò trova conforto, da un lato, nel rispetto della ratio del legislatore che intende favorire la conversione del premio detassabile a una forma socialmente utile di welfare con ulteriori vantaggi fiscali rispetto a quelli di per sé già previsti per la previdenza complementare e l’assistenza sanitaria integrativa e dall’altro lato nei precedenti orientamenti interpretativi apparsi relativi a una norma simile oggi abrogata (art. 2 DL 67/1997 – L. 135/1997) che aveva previsto la totale esenzione contributiva in caso di conversione di retribuzioni di produttività erogate in base ad accordi collettivi di II livello in contributi a forme di previdenza complementare.

Sul punto l’INPS con la circolare 167/2004 aveva ritenuto applicabile a quella retribuzione premiale convertita in previdenza complementare il solo prelievo contributivo di solidarietà del 10% a carico del datore di lavoro.