L’Agenzia delle entrate, con la risposta all’interpello n. 301 del 21 aprile 2023, fornisce alcuni chiarimenti in merito alla c.d. mensa diffusa, evidenziando che nelle convenzioni che il datore di lavoro stipula con le aziende che somministrano alimenti e bevande ai dipendenti non deve comparire la locuzione “servizio sostitutivo di mensa aziendale”, dato che questo si riferisce ai c.d. ticket restaurant che hanno un trattamento fiscale differente.

A tal proposito viene richiamata la Risoluzione 63/E del 2005 secondo cui il servizio di mensa diffusa è assimilabile alla mensa aziendale, distinguendosi da quest’ultima per il semplice fatto che il dipendente può rivolgersi ai diversi esercizi pubblici che somministrano alimenti e bevande, con i quali il datore di lavoro ha stipulato una convenzione, e che sono abilitati a gestire la card elettronica o l’App che consente al lavoratore di consumare il pasto.

Entrando nel dettaglio la mensa diffusa permette di utilizzare ristoranti, pub, tavole calde ed altri esercizi convenzionati esattamente come se fossero una mensa aziendale, nei giorni e orari stabiliti dalla singola azienda e con un menù a prezzo fisso o di un valore predefinito.

Ogni giorno, il dipendente ha la possibilità di scegliere dove consumare il suo pasto e quanto ''spendere'', entro la soglia massima dell'importo quotidiano.

Le card o app con tali caratteristiche consentono unicamente di identificare il dipendente e verificare il suo diritto a ricevere la somministrazione del pasto, ma non rappresentano titoli di credito.

Inoltre, operando su di un circuito elettronico, le card o l'app consentono di verificare in tempo reale l'utilizzo conseguente alla maturazione del diritto da parte del dipendente della prestazione giornaliera. Questo permette, allo stesso tempo, di scongiurare un eventuale utilizzo improprio e/o fraudolento, come la richiesta di somministrazione del pasto in un giorno in cui il dipendente risulti ammalato o, semplicemente, in una fascia oraria diversa da quella prevista contrattualmente.

Quindi la mensa diffusa è un servizio diverso dal buono pasto perché il dipendente può consumare un solo pasto al giorno e, nel caso in cui non dovesse consumarlo, non può recuperarlo nei giorni successivi, né al medesimo verrà riconosciuto altro analogo diritto riconducibile al servizio di mensa aziendale.

Riguardo all’aliquota Iva applicabile e alle relative modalità di detrazione, vengono confermate le indicazioni date con la Risoluzione n. 63/E citata: aliquota Iva nella misura del 4% da applicare in sede di fatturazione della prestazione da parte del ristoratore al datore di lavoro che poi la può detrarre. I costi relativi alla gestione della mensa diffusa sono inoltre interamente deducibili ai fini IRES e IRAP.

Infine riguardo al trattamento ai fini IRPEF, l’Agenzia delle entrate sottolinea che se l’azienda offre il servizio di mensa diffusa con le caratteristiche sopra delineate, l’importo del pasto non concorrerà a formare reddito di lavoro dipendente.