L’Agenzia delle entrate, con la risposta all’interpello n. 221 del 29/03/2021, ha precisato che se il prezzo pagato dai dipendenti al proprio datore di lavoro per i beni prodotti dalla società e a loro ceduti con sconto è superiore a quello che viene pagato dai soggetti legati da accordi di frachising o di somministrazione, non si configura alcun assoggettamento fiscale.

Ciò si verifica anche quando lo sconto praticato ai dipendenti non supera quello applicato, in alcuni periodo dell’anno, ai clienti e non si cumula con altre iniziative commerciali analoghe adottate in favore della clientela.

L’Agenzia delle entrate giunge a questa conclusione partendo dalla Risoluzione 26/E del 2010 sugli sconti d’uso, nella quale è stato precisato che per i beni e i servizi offerti dal datore di lavoro ai propri dipendenti, il valore normale di riferimento (da assoggettare ad imposizione fiscale) può essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l’eventuale convenzione stipulata con il datore di lavoro.

Inoltre, richiamando la circ. Min. Finanze 326/1997 il reddito da assoggettare a tassazione è pari al valore normale soltanto se il bene è ceduto gratuitamente.

Invece, se per la cessione dello stesso bene, il dipendente corrisponde delle somme, il valore da assoggettare a tassazione è pari alla differenza tra il valore normale del bene ceduto e le somme pagate.

Nel caso in esame, l’Agenzia delle entrate ha escluso l’imponibilità dello sconto. Infatti se vi fosse rilevanza fiscale si genererebbe una disparità di trattamento tra i clienti della società che possono acquistare la marce ad un prezzo scontato ed i dipendenti della medesima che si vedrebbero tassato il vantaggio economico.

Infine, a nulla rileva il fatto che il dipendente acquisti i prodotti aziendali con una card sconto. Infatti questa rappresenta solo un mero strumento tecnico attraverso il quale viene consentita la fruizione dello sconto.