Vietato sottrarre dati aziendali anche se non vengono diffusi a terzi
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza 24/10/2017 n.25147, ha deciso che è legittimo il licenziamento del dipendente che copia i file aziendali su una pen drive personale anche se questi non vengono diffusi a terzi.
Nel caso esaminato dai giudici di legittimità un lavoratore era stato licenziato per aver trasferito su una pen drive di sua proprietà, poi smarrita e casualmente rinvenuta nei locali della società, un numero rilevante di dati appartenenti all’azienda, sebbene non divulgati a terzi. Tale violazione integra la fattispecie prevista dal CCNL delle aziende chimiche, che prevede il licenziamento in tronco.
Il lavoratore ha impugnato il recesso datoriale chiedendo anche la condanna dell’azienda al pagamento del corrispettivo del patto di non concorrenza.
Il Tribunale ha dato ragione al lavoratore, mentre la Corte d’appello ha ritenuto legittimo il licenziamento e non dovuto alcun corrispettivo per il patto di non concorrenza dato che il dipendente era stato assunto da una società con oggetto sociale sostanzialmente coincidente, violando così il patto stesso.
La Corte di Cassazione si è conformata al giudice di secondo grado, rigettando il ricorso e sostenendo che ai fini del perfezionamento della condotta non è essenziale l’avvenuta divulgazione a terzi dei dati di cui si è indebitamente appropriato il lavoratore, essendo a tal fine sufficiente la mera sottrazione dei dati stessi.
Non rileva neppure il fatto che i dati sottratti siano o meno protetti da specifiche password.
Infatti la circostanza che l’accesso ai dati sia libero non lo autorizza ad appropriarsene creandone copie idonee a far uscire le informazioni al di fuori della sfera di controllo del datore di lavoro.
Una condotta simile viola il dovere di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c. che si sostanzia nell’obbligo del lavoratore di astenersi da attività contrarie agli interessi del datore di lavoro, tali dovendosi considerare anche quelle che, sebbene non produttive di danno, sono dotate di potenziale lesività (Cass. 2239/2017).
In merito al patto di non concorrenza, la Suprema Corte ha richiamato il proprio orientamento (sent. 13282/2003) in base al quale, premesso che ai sensi dell’art. 2125 c.c. detto patto può riguardare qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro e non deve quindi limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto stesso, si deve considerare nullo quando la sua ampiezza è tale da comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettono ogni potenzialità reddituale.
Nello specifico è stato escluso il pagamento della somma concordata perché ne è stata accertata la violazione.
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