L’11 maggio 2016, la Camera dei Deputati ha votato la questione di fiducia posta dal Governo sull'approvazione senza emendamenti, dell'articolo unico della proposta di legge recante regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze (Progetto di Legge C 3634) nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato della Repubblica.

Dei 69 commi, che costituiscono l’unico articolo del provvedimento che istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale, meritano di essere evidenziati i commi 17 e 20.

Il primo prevede che in caso di decesso di una delle parti dell'unione civile che sia prestatore di lavoro, andranno corrisposte al partner sia l'indennità di preavviso dovuta dal datore di lavoro (ex art. 2118 c.c.) che quella relativa al trattamento di fine rapporto (ex art. 2120 c.c.).

Il comma 20, invece, al fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile prevede che le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi», «marito» e «moglie», ovunque ricorrano nelle leggi, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, troveranno applicazione anche all’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Restano però escluse da quest’estensione le disposizioni del codice civile non richiamate espressamente dal provvedimento sulle unioni civili e quelle della legge sulle adozioni (L. 184/1983).

Infatti nella stesura finale del progetto di legge sono scomparsi i commi che regolamentavano la stepchild adoption (possibilità che il genitore non biologico adotti il figlio, naturale o adottivo, del partner) e l’obbligo di fedeltà.

Nel Progetto di Legge è stata però inserita nel comma 20 la locuzione "resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti", lasciando di fatto ai giudici la possibilità di pronunciarsi sui casi di adozioni per le coppie omossessuali.

Il provvedimento C 3634 disciplina anche le convivenze di fatto, da intendersi quelle in cui due persone maggiorenni che coabitano, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non sono vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

A tal riguardo merita di essere evidenziato il comma 46 che estende la disciplina dell’impresa familiare dell’art. 230bis c.c. anche ai conviventi di fatto.

Più precisamente viene introdotto nel codice civile l'articolo 230-ter per disciplinare i diritti del convivente nell'attività di impresa. La nuova disposizione riconosce al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa del partner il diritto di partecipazione agli utili commisurato al lavoro prestato. Tale diritto non sussiste qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.