Tutele crescenti non applicabili ai contratti convertiti dopo il Jobs Act per nullità del termine
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 823 del 16 gennaio 2020, ha stabilito l’inapplicabilità dell’art. 1, c. 2, D.Lgs. 23/2015 (nuovo regime del c.d. contratto a tutele crescenti) alla conversione giudiziale del rapporto a tempo determinato, per nullità del termine, successiva alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo.
Più in particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che i lavoratori assunti con contratto a temo determinato prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 23/2015, con rapporto di lavoro giudizialmente convertito a tempo indeterminato solo successivamente a tale decreto, in alcun modo possono essere considerati “nuovi assunti”.
Una diversa interpretazione comporterebbe un’evidente quanto irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori egualmente assunti a tempo determinato prima dell’introduzione del Jobs Act (7.3.2015) ma con la conversione del rapporto, per nullità del termine, in uno a tempo indeterminato in base a sentenze emesse tuttavia, per mero accidente indipendente dalle rispettive volontà, talune prima, altre dopo tale data. Ed, infatti, lavoratori nelle stesse condizioni temporali di assunzione (a tempo determinato) e di conversione dal rapporto di lavoro subordinato (a tempo indeterminato, per nullità del termine) sarebbero soggetti a regimi di tutela sensibilmente diversi: quelli “convertiti” prima del 7 marzo 2015, al regime c.d. Fornero; quelli “convertiti” dopo, al regime del c.d. Jobs Act (tutele crescenti).
I principi sopra enunciati, tuttavia, non hanno valore assoluto. Essi non si applicano, infatti, alle ipotesi di contratti a termine stipulati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 23/2015, convertiti a tempo indeterminato per un effetto di manifestazione di volontà delle parti successiva all’entrata in vigore del decreto stesso, con effetto novativo. In questi casi, per i contratti “convertiti” troverebbero applicazione le nuove disposizioni contenute nel D.Lgs. 23/2015. Lo stesso vale per le ipotesi di conversione giudiziale di contratti a termine stipulati anteriormente al D.Lgs. 23/2015 ma che producano i loro effetti di conversione dopo la sua entrata in vigore, perché successivo è il vizio che li colpisce, quali:
- continuazione del rapporto oltre i limiti legali;
- mancato rispetto delle clausole di “stacco” tra un rapporto a tempo determinato e l’altro;
- superamento del limite dei 24 mesi previsti, ora, dall’art. 19 del D.Lgs. 81/2015, dopo le modifiche introdotte dal DL 87/2018 (c.d. Decreto Dignità).
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