La Corte di Cassazione, con la sentenza 18/04/2017 n.9731, ha deciso che è irrilevante, ai fini dell’individuazione della nozione di trasfertista (art.51, c. 6 del TUIR), la modalità continuativa o meno di corresponsione dell’indennità, assumendo invece rilievo solo l’obbligo contrattuale assunto dal dispendenti di espletare normalmente le proprie attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi e quindi al di fuori di una qualsiasi sede di lavoro prestabilita.

Nel caso in esame l’INPS aveva richiesto ad un datore di lavoro che venissero pagate le differenze contributive dovute sulle somme corrisposte ai propri dipendenti, in quanto gli stessi dovevano essere considerati trasfertisti e non lavoratori in trasferta, per i quali è dovuto un importo minore se non nullo.

Il datore di lavoro, esercente lavori di impiantistica in cantieri itineranti, sosteneva invece che i lavoratori dovevano considerarsi in trasferta e non trasfertisti perché le indennità venivano corrisposte solo nei giorni di effettiva presenza e di svolgimento delle attività fuori dal comune dove ha sede l’azienda.

La Suprema Corte, richiamando l’orientamento ormai consolidato (si vedano le sent. 396/2012, 3824/2012 e 22796/2013) ha invece ritenuto che l’art. 51, c.6 del TUIR, non richiede per la sua applicazione che le indennità e le maggiorazioni ivi previste siano corrisposte in maniera fissa e continuativa e anche indipendentemente dall’effettuazione della trasferta e dal tipo di essa, rilevando unicamente che si tratti di erogazione corrispettiva dell’obbligo contrattuale assunto dal dipendente di espletare normalmente le proprie attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, quindi al di fuori di una qualsiasi sede di lavoro prestabilita e restando irrilevanti le modalità di erogazione dell’indennità.

Gli stessi giudici di legittimità hanno anche preso in esame l’art. 7-quinquies del DL 193/2016 (L. 225/2016), che, nel dettare disposizioni in materia di interpretazione autentica nella determinazione del reddito dei lavoratori in trasferta e dei trasfertisti, ha disposto che l’art. 51, c. 6 del TUIR deve essere interpretato nel senso che i lavoratori rientranti nella disciplina ivi prevista sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti tre condizioni: la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; lo svolgimento di un’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi e un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta.

Il legislatore, così facendo, però ha disatteso l’orientamento fatto proprio dalla Corte di Cassazione secondo cui invece il citato art. 51. c.6 non richiederebbe per la sua applicazione che le indennità e le maggiorazioni ivi previste siano corrisposte in maniera fissa e continuativa e anche indipendentemente dall’effettuazione della trasferta e dal tipo di essa.

Tuttavia anche se la disposizione si è autodefinita di interpretazione autentica, pare attribuire invece un significato che non poteva essere in alcun modo incluso nel novero dei suoi significati possibili, dal momento che la disposizione asseritamente interpretata contempla le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi anche se corrisposte con carattere di continuità. Da un punto di vista grammaticale, l’impiego della locuzione congiuntiva “anche se” ha valore concessivo, indicando un fatto nonostante il quale si verifica ugualmente l’azione descritta nella proposizione reggente.

Secondo la Suprema Corte possono definirsi di carattere interpretativo solo quelle disposizioni che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi tra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo.

L’attribuzione di senso operata dall’art.7-quinquies invece, avendo nei fatti il significato di sopprimere la locuzione congiuntiva “anche se” che figura nella disposizione interpretata, pare avere valore innovativo. In questo caso la disposizione asseritamente interpretativa ha valore solo per l’avvenire e non retroattivo.

Poiché sulla questione si sono susseguiti plurimi e contrastanti interventi sia legislativi che giurisprudenziali, la Corte di Cassazione ritiene opportuno rimettere la controversia alle Sezioni Unite.