La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6340 del 16 marzo 2010, si è pronunciata per la prima volta sul diritto del lavoratore extracomunitario che rimpatria al rimborso dei contributi previdenziali versati all'ente previdenziale italiano.
In materia contributiva, mentre alcuni accordi o convenzioni internazionali consentono il trasferimento dei contributi versati in Italia all'istituto o ente assicuratore dello Stato di provenienza del lavoratore extracomunitario, per il caso, invece, in cui la materia non sia regolata da accordi o da convenzioni internazionali, a norma del testo unico sull'immigrazione, che riprende analogo principio già contenuto nell'art. 3, 13° co., l. 8.8.95, n. 335, i lavoratori extracomunitari che abbiano cessato l'attività lavorativa in Italia e lascino il territorio nazionale avevano "facoltà di richiedere, nei casi in cui la materia non sia regolata da convenzioni internazionali, la liquidazione dei contributi che risultino versati in loro favore presso forme di previdenza obbligatoria maggiorati del 5 per cento annuo". Analoga disposizione valeva per i lavoratori stagionali, ai sensi dell'art. 25, 5° co., t.u. imm.., che consentiva inoltre, in via speciale ed aggiuntiva, la possibilità di ricostruzione della posizione contributiva in caso di successivo reingresso.
La sentenza in epigrafe interpreta in modo restrittivo la dizione normativa, ritenendo che il diritto compete solo nel caso in cui la cessazione dell'attività lavorativa ed il trasferimento dal territorio nazionale abbiano carattere di definitività, e ciò sul presupposto che la cessazione dell'attività lavorativa è destinata ad incidere sulla legalità del soggiorno, sicché deve avere essa stessa carattere definitivo. Nella specie la Corte ha cassato la sentenza impugnata - che aveva respinto la domanda in quanto il lavoratore non aveva dato prova dell'autorizzazione all'ingresso ed alla residenza in altro Paese -, ritenendo la sentenza non adeguatamente motivata in considerazione della mancata valorizzazione della restituzione del permesso di soggiorno al consolato italiano e all'Inps del libretto di lavoro, da parte del lavoratore extracomunitario.
La Corte ha anche chiarito gli oneri probatori delle parti in tema: il lavoratore deve provare la definitività del suo allontanamento, ma ciò non richiede la prova dell'insediamento regolare all'estero o la prova di svolgimento di attività lavorativa all'estero. Fattore ostativo al rimborso è dato dall'esistenza di convenzioni internazionali, sul presupposto (dovrebbe ritenersi) che queste prevedano la totalizzazione dei contributi: la esistenza di convenzioni e la loro applicabilità va dimostrata, secondo la sentenza in epigrafe, da chi deduce il fatto negativo per escludere il diritto al rimborso dei contributi e dunque dall'ente previdenziale.
Da ultimo, va ricordato che la materia è stata quindi modificata dalla legge Bossi-Fini, elidendo la vecchia facoltà, sicché oggi è escluso ogni rimborso dei contributi previdenziali del lavoratore extracomunitario in caso di rimpatrio e, come precisato dalla Corte, la vecchia disciplina potrà trovare applicazione solo in riferimento alle istanze proposte sotto la sua vigenza