La Corte di Cassazione, con la sentenza a Sezioni Unite, 4 settembre 2015, n. 17589, ha deciso che il lavoratore che matura i requisiti per la pensione, può continuare a rimanere in servizio fino a 70 soltanto se vi è un accordo con il datore di lavoro.

L’intervento dei giudici di legittimità ha ad oggetto l’articolo 24, commi 4 e 24, del Dl 201/2011 (Salva Italia) che regola il diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il limite di età fissato per alla pensione di vecchiaia e stabilisce che il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di 70 anni.

Secondo la Suprema Corte questo non attribuisce al lavoratore un diritto potestativo alla prosecuzione del rapporto di lavoro, né consente allo stesso di scegliere fra la quiescenza o la continuazione del rapporto, ma prevede solo la possibilità che, grazie all’operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di 70 anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporti di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore.

La stessa disposizione normativa garantisce al lavoratore anche la copertura dell’articolo 18 fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità.

Secondo la Suprema Corte ciò significa che la legge consente l’applicazione dell’articolo 18 ma solo nel caso in cui le parti abbiano consensualmente ritenuto di procrastinare la durata del rapporto fino ai 70 anni.