Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza 26/07/2017, ritiene che la previsione contenuta nel D.lgs. 23/2015, in caso di licenziamento illegittimo, di un’indennità risarcitoria in misura, modesta, fissa e crescente solo sulla base dell’anzianità di servizio, non costituisce adeguato ristoro per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2013 e ingiustamente licenziati e viola il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost, differenziando tra vecchi e nuovi assunti.

Nel caso in esame, una lavoratrice dopo pochi mesi dall’assunzione incentivata era stata licenziata per giustificato motivo oggettivo, a seguito di crescenti problematiche di carattere economico-produttivo che non consentivano il regolare proseguimento del rapporto di lavoro.

La dipendente ha così impugnato il licenziamento davanti al giudice del lavoro ritenendo lo stesso illegittimo per infondatezza della motivazione addotta, estremamente generica e adattabile a qualsivoglia situazione, e quindi inidonea ad assolvere al fine cui tende l’onere motivazionale (Cass. 7136/2002).

Il Tribunale di Roma ha però sospeso il giudizio di merito ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme contenute nel D.lgs. 23/2015, non perché prevedono l’eliminazione della tutela reintegratoria (applicabile ora solo in caso di licenziamenti nulli, discriminatori e per specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare), ma per la differente tutela prevista per chi è stato assunto prima o dopo il 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore delle tutele crescenti).

Il dubbio di legittimità costituzionale sollevato dal giudice di merito, si fonda sulle seguenti circostanze sintomatiche della mancanza di carattere compensativo dell’indennità:

  • L’assunzione della ricorrente ha consentito al datore di lavoro di fruire di uno sgravio contributivo per 36 mesi (L. 190/2014) di importo molto più consistente della condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria. Invece la lavoratrice in cambio di pochi mesi di lavoro e di un modesto risarcimento ha molte più difficoltà a reperire una nuova occupazione in quanto non porta con se la dote dello sgravio;
  • La misura fissa dell’indennità non consente al giudice di valutare in concreto il pregiudizio sofferto dalla lavoratrice.

Le predette circostanze dimostrano anche la mancanza del carattere dissuasivo della sanzione, poiché il licenziamento illegittimo disposto dopo pochi mesi di lavoro, assistito dalla fruizione dello sgravio contributivo costituisce un affare per il datore di lavoro che incentivava, anziché dissuadere, comportamenti di free riding senza alcun rischio, dal momento che l’indennità che il datore di lavoro deve pagare è fissa, predeterminata e prescinde dalla gravità dell’illegittimità, per cui una pseudomotivazione equivale a qualsiasi altra motivazione riscontrata nei fatti come infondata.

Sempre il Tribunale di Roma evidenzia che se l’indennità risarcitoria che va riconosciuta al lavoratore illegittimamente licenziato non deve essere solo una compensazione, ma anche una sanzione, il giudizio di adeguatezza si impone perché una quantificazione irrisoria della stessa si risolve in un incentivo all’inadempimento e non il suo opposto.

L’ordinanza sottolinea inoltre che le tutele del D.lgs. 23/2015 non sono affatto crescenti, dato che con lo scorrere del tempo non aumentano le garanzie, ma solo l’indennizzo in proporzione alla maggiore anzianità del lavoratore, che non può più, accedere alle tutele standard degli assunti prima del 7 marzo 2015 e che anzi incontra un tetto massimo indennitario dopo 12 anni di servizio.

La disparità di trattamento irragionevole emerge pienamente dal confronto non solo fra lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015, anche nella medesima azienda, e non solo tra lavoratori licenziati con provvedimenti affetti da illegittimità macroscopiche ovvero da vizi meramente formali, tutti irragionevolmente tutelati con un indennizzo del medesimo importo, ma anche, quanto agli assunti dopo la citata data, fra dirigenti e lavoratori privi della qualifica dirigenziale, dal momento che i primi, non soggetti alla nuova disciplina, continueranno a godere di indennizzi di importo minimo e massimo e ben più consistenti.

Il Tribunale del lavoro ha anche evidenziato che la congruità e l’adeguatezza del ristoro garantito ai lavoratori e dunque il rispetto dei principi posti da questa ultima fonte è stato oggetto di diverse pronunce anche a livello europeo ed in particolare del Comitato europeo dei diritti sociali che, pur dando atto che la misura può anche non essere di natura risarcitoria bensì meramente indennitaria, ha statuito che il ristoro deve essere adeguato per il lavoratore e dissuasivo per il datore di lavoro.

L’ordinanza conclude sospendendo il giudizio e rimettendo alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nel D.lgs. 23/2015, il cui accoglimento consentirebbe di riconoscere alla ricorrente una tutela compensativa del reale pregiudizio subito ponendo così rimedio al comportamento dell’azienda che ha inteso lucrare il beneficio contributivo assumendo una lavoratrice di cui si è poi sbarazzata con un licenziamento pseudomotivato.