Confindustria ha pubblicato la nota di fine 2019 che illustra il risultato dell’indagine svolta sul lavoro nel corso dell’anno, da cui emerge che le remunerazioni e l’organizzazione del lavoro comprendono sempre più premi di risultato e benefit previsti da piani di welfare aziendale.

Per il personale non dirigenziale, l’incidenza dei premi variabili collettivi sulla retribuzione annua complessiva è simile per operai e impiegati, rispettivamente pari al 3,3% e 3,5%, mentre tra i quadri scende al 2,6%.

Tra le imprese che applicano un contratto aziendale che prevede l’erogazione di un premio variabile collettivo, in oltre il 35% dei casi lo stesso contratto prevede anche la possibilità (su richiesta del lavoratore) che il premio sia convertito in welfare. L’opzione è più diffusa al crescere della dimensione aziendale: nell’industria in senso stretto è prevista dal 27,0% dei contratti in imprese fino a 15 dipendenti, dal 29,7% in quelle con 16-99 addetti e da quasi la metà (48,1%) in quelle con 100 addetti e più.

Da qualche anno l’indagine monitora anche la diffusione del welfare aziendale. I risultati indicano che nella prima metà del 2019 il 60,2% delle imprese associate a Confindustria metteva a disposizione dei propri dipendenti non dirigenti uno o più servizi di welfare. La diffusione del welfare è più elevata nell’industria e nelle imprese grandi; come nel caso dei premi collettivi, la maggiore diffusione nelle aziende di grande dimensione eleva la quota complessiva di lavoratori a cui tali servizi sono messi a disposizione.

Tra i benefit previsti dai piani di welfare aziendale prevale l’offerta di sanità integrativa e previdenza complementare. Nello specifico, quasi la metà delle aziende associate versa contributi in fondi di assistenza sanitaria integrativa a favore dei propri dipendenti (45,9%), principalmente in applicazione di quanto previsto dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (39%). La diffusione della previdenza complementare è al 28,7%, anch’essa soprattutto in attuazione di CCNL (24,5%). Per entrambe le forme di welfare la percentuale di imprese che le mettono a disposizione dei propri dipendenti schizza tra quelle grandi, in particolar modo nell’industria (81,5% e 75,6% rispettivamente).

In termini di diffusione, seguono le somministrazioni di vitto (per esempio tramite mense aziendali) e i fringe benefit (tra cui autovetture ad uso promiscuo o prestiti agevolati), messi a disposizione da circa un’azienda su 5 (21,1% e 19,7%), in entrambi i casi principalmente per decisione unilaterale (12,7% e 15,8%).

Somme e servizi con finalità di educazione, istruzione o ricreazione rivolti ai dipendenti sono erogati dal 6,6% delle imprese. Una quota molto simile li eroga a favore di familiari dei dipendenti (6,8%). Le percentuali si quadruplicano tra le grandi imprese. Mediamente al 9,8% (20,9% per le grandi imprese) la diffusione del “carrello della spesa”, un altro tipo di erogazione che offre un concreto sostegno al potere di acquisto dei dipendenti, ancor più se distribuito con accordi con specifici esercenti.  Al 3,4% la diffusione di servizi di trasporto collettivo (11,1% tra le grandi imprese industriali). Al 3,8% la diffusione di forme di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti, voce che probabilmente prenderà peso in futuro sia per la recente estensione degli incentivi fiscali a questa forma di welfare sia per la crescente domanda a fronte dell’invecchiamento della popolazione.

Per il secondo anno consecutivo, l’indagine Confindustria ha approfondito anche il tema dell’organizzazione del lavoro, monitorando la diffusione di forme di lavoro agile, ovvero modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno, senza postazione fissa. Sulla base della rilevazione effettuata nei primi mesi del 2019, si stima che l’8,9% delle imprese associate a Confindustria abbia introdotto forme di smart working, una su 5 tra  quelle con 100 o più addetti (20%).