Sanzione conservativa per il dipendente trovato in possesso di droghe fuori dall’orario di lavoro
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 5/09/2018 n.21679, ha deciso che non può essere licenziato il lavoratore trovato in possesso di hashish durante la pausa pranzo, così come il dipendente trovato in stato di manifesta ubriachezza durante l’orario di lavoro, dato che in questi casi le circostanze oggettive e soggettive che caratterizzano l’episodio non compromettono irrevocabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro.
Nel caso esaminato dai giudici di legittimità un lavoratore era stato licenziato per giusta causa a seguito di un licenziamento disciplinare poiché durante la pausa pranzo era stato sorpreso dai carabinieri in possesso di 25 grammi di hashish custoditi nella tuta di lavoro, mentre stava rientrando in azienda, tanto che era stato arrestato con grave discredito del nome commerciale della società per l’eco che la notizia aveva avuto dopo la pubblicazione su un quotidiano locale.
Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento davanti al Tribunale, il quale aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e aveva condannato la società a pagare al dipendente un’indennità risarcitoria pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Poiché anche la Corte d’appello ha confermato la sentenza del giudice di primo grado, il lavoratore ha deciso di ricorrere in Cassazione.
I giudici di legittimità hanno ribadito un principio già espresso in passato (sent. n. 21017/2016) secondo cui la condotta disciplinarmente rilevante tenuta dal dipendente deve essere collocata nel contesto complessivo in cui è avvenuta, con la conseguenza che può far emergere una serie di circostanze, soggettive od oggettive, che consentono di escludere in concreto (seppur a fronte di un fatto astrattamente grave) l’idoneità dell’inadempimento a configurare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo e quindi determinano una sproporzione tra la condotta così come si è effettivamente realizzata ed il licenziamento.
La stessa Corte, richiamando altre pronunce conformi (sent. n. 11027/2017, 9223/2015, 13353/2011) ha anche ribadito che proprio perché quella della giusta causa o giustificato motivo è una nozione legale, le eventuali difformi previsioni della contrattazione collettiva non vincolano il giudice di merito, che ha il compito di controllare che vi sia rispondenza delle pattuizioni collettive al disposto dell’art. 2106 c.c. e accertare la nullità di quelle che prevedono come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento condotte per loro natura assoggettabili solo ad eventuali sanzioni conservative. Ma questo non gli consente di fare l’inverso, ossia estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi soggettivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti, nel senso che condotte pur astrattamente ed eventualmente suscettibili di integrare la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo ai sensi della legge non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse, con clausola migliorativa per il lavoratore, sanzioni meramente conservative.
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