Il Ministero del Lavoro con la lettera circolare n. 19605 del 16/11/2009, ha precisato che il padre lavoratore può fruire dei riposi giornalieri del padre anche nel caso in cui la madre sia casalinga e impegnata in attività che le impediscono di occuparsi del figlio (art. 40, lett. c del D.Lgs n. 151/2001).
Come si ricorderà il Ministero del lavoro facendo seguito alla pronuncia del Consiglio di Stato n. 4293 del 9 settembre 2008 e conformandosi alla stessa, aveva precisato che i riposi giornalieri del padre nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente spettano anche se la madre svolge lavoro casalingo. Tale conclusione appare in sintonia con il già consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che aveva precedentemente sottolineato come in numerosi ambiti ordinamentali la casalinga sia considerata come lavoratrice (Cass., sez. III, n. 20324 del 20 ottobre 2005), in quanto impegnata in attività che comunque la distolgono dalla cura del neonato.
In sostanza l'interpretazione estensiva della lettera c) dell'art. 40 del T.U. maternità, derivante dalla pronuncia del Consiglio di Stato risulta, dunque, maggiormente aderente alla ratio legis, volta a garantire al lavoratore padre la cura del bambino in tutte le ipotesi in cui l'altro genitore sia impegnato in attività lavorative che lo distolgano dall'assolvimento di tale compito.
Successivamente l'INPS (Circ. 112/2009), ha riconosciuto al padre lavoratore il diritto ai riposi giornalieri in presenza di un'oggettiva impossibilità della madre casalinga di dedicarsi alla cura del neonato, perché impegnata in altre attività, quali accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi, ecc., senza però estendere detto diritto anche al caso in cui la lavoratrice è casalinga.
Adesso il Ministero del lavoro, con la circolare n. 19605/2009, è ritornato sull'argomento riconfermando le precedenti precisazioni ossia che il padre lavoratore ha diritto ai riposi giornalieri anche nel caso in cui  la madre sia casalinga. Un'interpretazione differente della disposizione normativa infatti potrebbe ingenerare questioni di costituzionalità (art. 3 Cost.), poiché si configurerebbe una disparità di trattamento dei soggetti destinatari della medesima norma (ossia le lavoratrici non dipendenti).