La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24877 del 4 ottobre 2019, ha affermato che il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro di effettuare il versamento dei contributi sindacali da accreditare, per conto del lavoratore, al sindacato di appartenenza, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta antisindacale, in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato a cui aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività.

I lavoratori, infatti, nell’esercizio delle propria autonomia privata e attraverso lo strumento della cessione del credito in favore del sindacato – cessione che non richiede, in via generale, il consenso del debitore -, possono richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato stesso; qualora il datore di lavoro affermi che la cessione comporti, in concreto, a suo carico, un nuovo onere aggiuntivo insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale e, perciò, inammissibile, deve provarne l’esistenza. L’eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validità ed efficacia del contratto di cessione del credito, ma può giustificare l’inadempimento del debitore ceduto, finché il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione in modo da realizzare un equo contemperamento degli interessi.