La Corte Costituzionale, con la sentenza 149/2023, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1 del DL 34/2020, nella parte in cui prevede che la domanda per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti in Italia ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare con stranieri o italiani, possa essere presentata solo dai datori di lavoro extraUE in possesso di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, invece che da tutti i datori di lavoro regolarmente soggiornanti in Italia.

La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal TAR Liguria a cui si era rivolto un lavoratore extracomunitario al fine di vedersi annullato il provvedimento con il quale la Prefettura di Genova – Sportello unico per l’immigrazione, aveva rigettato la domanda di emersione presentata nei suoi confronti da un datore di lavoro straniero in possesso di un permesso di soggiorno per motivi familiari e non di un permesso di soggiorno di lunga durata.

Secondo la Corte Costituzionale la norma in questione contrasta con l’art. 3 della Costituzione in quanto determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra i lavoratori che, a parità di requisiti sostanziali verrebbero ammessi o meno alla procedura di emersione a seconda del titolo di soggiorno del loro datore di lavoro.

In particolare, la previsione di un requisito più stringente rispetto a quello previsto, in via generale, dal T.U. immigrazione che consente a qualsiasi datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia di instaurare un rapporto di lavoro subordinato, sarebbe irragionevole in quanto detta disciplina renerebbe meno agevole il raggiungimento dello scopo, dichiaratamente perseguito dalla norma, di favorire l’emersione del lavoro irregolare e di stipulare contratti d’impiego nei settori indicati.

In conclusione, la norma censurata, riducendo eccessivamente la platea dei datori di lavoro abilitati ad attivare la procedura di emersione, compromette la realizzazione degli obiettivi dalla stessa perseguiti, attinenti tanto alal tutela del singolo lavoratore quanto alal funzionalità del mercato del lavoro in un contesto d’inedita difficoltà.

Questa contradditorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la norma censurata lede dunque il principio di ragionevolezza (sent. 186/2020 e 86/2017).