Quando può essere impugnata la conciliazione in sede sindacale?
A cura della redazione

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con il parere n. 21 del 22 luglio 2010, ha chiarito quali sono le ipotesi in cui il lavoratore può impugnare il verbale di conciliazione concluso in sede sindacale.
La conciliazione in sede sindacale è immediatamente valida e non può essere impugnata nel termine di 6 mesi previsto dall’art. 2113 c.c., comma 4. Tuttavia, la validità della conciliazione in sede sindacale è subordinata alla sussistenza di alcuni requisiti.
Nelle ipotesi che seguono è ammessa l’impugnabilità del verbale nei 6 mesi:
- la partecipazione del sindacato alla conciliazione deve essere effettiva, non essendo sufficiente una presenza meramente formale del rappresentante sindacale. Se il sindacato è presente alla conciliazione, è onere del lavoratore provare che l’assistenza non sia stata effettiva;
- l’assistenza deve essere offerta dall’associazione cui il lavoratore abbia conferito mandato sindacale, con la conseguenza che altre forme di presenza o partecipazione di soggetti collettivi non sono ritenute idonee a sottrarre l’accordo conciliativo all’impugnativa del lavoratore;
- mancato rispetto della procedura conciliativa stabilita nei contratti collettivi, inerente, ad esempio, la modalità di costituzione del collegio sindacale.
In altre ipotesi, il verbale di conciliazione può essere impugnato perché mancano i requisiti che rendono valido il contratto (art. 1346 c.c.). In questi casi, la transazione è nulla ai sensi dell’art. 1418, secondo comma, c.c., sicché il lavoratore la può impugnare anche oltre il termine di 6 mesi previsto dall’art. 2113 c.c. (l’azione di nullità è imprescrittibile ai sensi dell’art. 1422 c.c.):
1) il lavoratore, anche se aderente ad un sindacato, deve sottoscrivere personalmente l’accordo di conciliazione, ovvero conferire una procura ad hoc a conciliare al rappresentante sindacale. In mancanza di procura ad hoc, l'accordo sindacale a fini transattivi non è valido nei confronti dei dipendenti che non lo abbiano sottoscritto. Tuttavia, il lavoratore può prestare acquiescenza alla conciliazione già conclusa da un’associazione sindacale a cui è iscritto, o mediante una ratifica espressa, ovvero mediante un comportamento concludente, purché la sua volontà risulti inequivoca;
2) il verbale di rinuncia o transazione deve avere ad oggetto un diritto determinato, o anche solo determinabile;
3) le rinunce e le transazioni devono avere ad oggetto diritti già maturati e acquisiti nel patrimonio del lavoratore, il quale non può dismettere un diritto ancora in via di maturazione, o addirittura destinato a sorgere solo in futuro, essendo in tal caso l’accordo radicalmente nullo per mancanza dell’oggetto;
4) per la transazione, uno dei requisiti essenziali di validità è rappresentato dalla sussistenza di una lite reale da transigere e, quindi, di una pretesa che sia contrastata dalla controparte;
5) infine, la conciliazione in sede sindacale può essere oggetto di azione di annullamento, con termine di prescrizione quinquennale, in caso sussistano vizi nel consenso fornito dal lavoratore, quali l’errore – essenziale e riconoscibile dall’altro contraente –, la violenza o il dolo.
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