Il Senato, nella seduta del 27 febbraio 2019, ha approvato con 149 voti favorevoli, 110 contrari e 4 astensioni, in prima lettura, il ddl modificato di conversione del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni (A.S. n. 1018), che passa ora alla Camera dei deputati.

Sono diverse le modifiche apportate dal Senato alla versione originaria del decreto legge.

Di seguito si riportano le principali:

Riguardo ai requisiti relativi alla residenza e al soggiorno, necessari per ottenere il reddito di cittadinanza, viene previsto che il componente richiedente il beneficio deve essere - in modo cumulativo:

- in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, ovvero suo familiare (di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 302) che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;

- residente in Italia da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda, di cui gli ultimi due anni in modo continuativo;

Si prevede poi che i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea debbano produrre, ai fini del conseguimento del Reddito di cittadinanza, una certificazione, rilasciata dalla competente autorità dello Stato estero, sui requisiti di reddito e patrimoniali e sulla composizione del nucleo familiare. La certificazione deve essere presentata in una versione tradotta in lingua italiana e legalizzata dall'autorità consolare italiana (che ne attesta la conformità all'originale). Restano sono esclusi dall'obbligo suddetto di certificazione:

- i soggetti aventi lo status di rifugiato politico. Sembrerebbe opportuna una più chiara definizione di tale fattispecie, considerato che la normativa reca una nozione generale di rifugiato;

- i casi in cui le convenzioni internazionali dispongano diversamente;

- i soggetti nei cui Paesi di appartenenza sia impossibile acquisire le certificazioni (la definizione dell'elenco di tali Paesi è demandata ad un decreto ministeriale).

Secondo la versione originaria del comma 3 dell’articolo 2 del DL 4/2019, sono esclusi dal diritto al Reddito di cittadinanza i nuclei familiari che hanno tra i componenti soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie, con riferimento ai dodici mesi successivi alla data delle dimissioni e fatte salve le dimissioni per giusta causa. Un emendamento propone, fermo restando il periodo di tempo predetto, di limitare l'esclusione al componente disoccupato (del nucleo familiare) che ha presentato le dimissioni volontarie, riducendo nella misura di 0,4 punti il parametro della scala di equivalenza.

In merito alla composizione del nucleo familiare, la norma prevede che i coniugi permangono nel medesimo nucleo anche a seguito di separazione o divorzio, qualora continuino a risiedere nella stessa abitazione. Adesso si propone di prevedere che, qualora la separazione o il divorzio sia avvenuto successivamente al 1° settembre 2018, l'eventuale cambio di residenza sia certificato da apposito verbale della polizia locale.

Ai fini della valutazione della congruità della distanza, rileva la circostanza che nel nucleo familiare siano presenti componenti con disabilità (come definita ai fini dell'ISEE). Adesso un emendamento fa riferimento anche alla presenza di figli minori.

In merito alla presenza di disabili, si propone di prevedere in termini generali, e non solo per la prima offerta, che la congruità sussista solo qualora la distanza non sia superiore ai cento chilometri - oppure, deve forse ritenersi, in base alla formulazione della lettera a) del comma 9, qualora il luogo della prestazione di lavoro sia in ogni caso raggiungibile entro cento minuti con i mezzi di trasporto pubblici

Per l'ipotesi di presenza di figli minori (ivi compresa la fattispecie in cui i genitori siano separati legalmente), si propone di prevedere che, per i primi 24 mesi di fruizione del Reddito di cittadinanza, la terza offerta sia congrua solo qualora la distanza non sia superiore a duecentocinquanta chilometri.

Riguardo alla tipologia contrattuale e alla misura della retribuzione, l'offerta si considera congrua quando ricorrono contestualmente i seguenti requisiti: si riferisca ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato oppure determinato o di somministrazione di durata non inferiore a tre mesi; si riferisca ad un rapporto a tempo pieno o con un orario di lavoro non inferiore all'80 per cento di quello dell'ultimo contratto di lavoro; preveda una retribuzione non inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi di cui all'articolo 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, e superiore (al netto dei contributi a carico del lavoratore) al 20 per cento del trattamento di disoccupazione percepito. In merito a quest'ultimo parametro, si propone, con l'inserimento di un comma 9-bis, di far riferimento, nel caso di titolari di Reddito di cittadinanza, al 10 per cento della misura massima del beneficio fruibile dal singolo individuo (comprensiva della componente ad integrazione del reddito prevista per i nuclei residenti in abitazione in locazione).

Si propone inoltre di prevedere che gli oneri derivanti dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e dall'assicurazione per la responsabilità civile, inerenti alla partecipazione dei beneficiari del RDC ai progetti dei Comuni, siano a carico delle risorse finanziarie relative al Reddito di cittadinanza.

Si propone di prevedere - con l'inserimento del comma 15-bis e del comma 15-ter all’art.4 - che i centri per l'impiego, le agenzie per il lavoro e gli enti di formazione registrino nelle piattaforme digitali di cui al successivo articolo 6 le competenze acquisite dal beneficiario del Reddito di cittadinanza in ambito formale, non formale ed informale.

L’art. 7 disciplina la decadenza dal RDC, tra l’altro, quando il beneficiario sia trovato, nel corso delle attività ispettive svolte dalle competenti autorità, intento a svolgere attività di lavoro dipendente in assenza delle comunicazioni obbligatorie. Adesso si prevede la decadenza anche in caso di collaborazione coordinata e continuativa ovvero altre attività di lavoro autonomo o di impresa in assenza delle comunicazioni di cui al precedente articolo 3, comma 9.

Si propone inoltre di estendere ai casi di impiego, in forma di lavoro subordinato, di soggetti beneficiari del Reddito di cittadinanza, da parte di datori privati, senza la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto, la maggiorazione, nella misura del venti per cento, di alcune sanzioni amministrative pecuniarie. Maggiorazione già prevista nell'ordinamento (per la medesima fattispecie di mancata comunicazione) con riferimento ad altre categorie di lavoratori (stranieri irregolari e minorenni).

Si prevede poi che la restituzione del beneficio fruito dal datore di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato del beneficiario di Rdc, sia limitata ai casi in cui il licenziamento effettuato nei trentasei mesi successivi all'assunzione.

Il comma 5 dell’art.8, subordina la fruizione degli incentivi per le assunzioni di beneficiari del RDC al possesso, da parte dei datori di lavoro, del DURC (Documento unico di regolarità contributiva), di cui all’art. 1, c. 1175, della L. 296/2006. Adesso si propone di prevedere l'esclusione dagli incentivi in esame per i datori di lavoro che non siano in regola con gli obblighi di assunzione (relativi alle categorie protette) di cui all'articolo 3 della L. 12 marzo 1999, n. 68, e successive modificazioni, fatta salva l'ipotesi in cui l'incentivo medesimo sia inerente ad un'assunzione di un soggetto (naturalmente beneficiario del Reddito di cittadinanza) iscritto nelle liste di cui alla citata L. n. 68.

Infine il nuovo articolo 11-bis prevede che i fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua possano finanziare, in tutto o in parte, piani di formazione o di riqualificazione professionale previsti dal Patto di formazione .