Il Tribunale di Venezia, con la sentenza n. 3463 dell’8 luglio 2020, ha deciso che il buono pasto, non avendo natura di elemento normale della retribuzione, non ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 20 della Legge 81/2017 che, nel disciplinare il lavoro agile, riconosce al lavoratore il diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le proprie mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda.

Per sostenere la sua decisione, il Tribunale ha richiamato la sentenza della Corte di Cassazione n. 31137/2019 che ha escluso la natura retributiva dei buoni pasto, trattandosi piuttosto di un’agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale.

In particolare il buono pasto, secondo la Suprema Corte, è un beneficio che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far si che, nell’ambito dell’organizzazione di lavoro, si possano conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore, al quale viene così consentita, laddove non sia previsto un servizio di mensa, la fruizione del pasto, i cui costi vengono assunti dall’Amministrazione, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario a quello contrattualmente stabilito per la fruizione del beneficio.

Non si tratta quindi di un elemento della retribuzione, né di un trattamento comunque necessariamente conseguente alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma piuttosto di un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro.

Se così è, i buoni pasto non rientrano sic et simpliciter nella nozione di trattamento economico e normativo che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart working ex lege 81/2017.

Il fatto che non sussista un vero e proprio diritto al buono pasto per il lavoratore in smart working, non esclude che il datore di lavoro possa comunque corrisponderli anche al dipendente che presta l’attività al di fuori della sede di lavoro (salvo che la contrattazione collettiva o l’accordo individuale non prevedano la totale esclusione) usufruendo dell’esenzione fiscale di cui all’art. 51, c. 2 lett. c) del TUIR (fino a 4 euro se cartacei e fino a 8 euro se informatici).