La Corte di Cassazione, con la sentenza 20/08/2019 n.21540, ha ribadito un principio già affermato (sent. n. 29779/2017) secondo cui ai fini della determinazione dei contributi dovuti dagli artigiani ed esercenti attività commerciali, vanno computati anche i redditi percepiti in qualità di socio accomandante, anche se diversi dal reddito che trova causa nel rapporto di lavoro oggetto della posizione previdenziale.

Nel caso in esame un contribuente iscritto alla gestione artigiani aveva proposto opposizione avverso l’avviso di addebito con il quale gli veniva ingiunto il pagamento di una somma pretesa dall’INPS a titolo di contributi dovuti a percentuale sul reddito eccedente il minimale e relativo alla sua partecipazione nella società a responsabilità limitata.

Il giudice di primo grado ha accolto l’opposizione, poi confermata anche dalla Corte d’appello che ha rilevato che il DL 384/1992 (L. 438/1992) ha previsto che a decorrere dal 1993 l’ammontare del contributo annuo è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF nell’anno al quale i contributi stessi si riferiscono e che tra i redditi di impresa non vanno inclusi ai sensi del DPR 917/1986 i redditi del socio di società a responsabilità limitata, stante l’assenza dell’apporto personale presente nella diversa ipotesi del reddito prodotto dal capitale investivo in una società in accomandita semplice.

L’INPS ha così proposto ricorso presso la Suprema Corte la quale ha richiamato la ratio che ha mosso il legislatore del 1992, evidenziando che la differente formulazione della norma rispetto a quella previgente (L. 223/1990) realizza chiaramente un ampliamento della base imponibile contributiva, secondo un mutamento normativo che il legislatore ha inteso perseguire, in connessione con il processo di armonizzazione della base imponibile contributiva a quella tributaria.

Pertanto per individuare quale sia il reddito di impresa che rileva ai fini contributivi è necessario far riferimento alle norme fiscali ed in particolare al T.U. delle imposte sui redditi secondo cui sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio dell’attività imprenditoriale, mentre sono redditi di capitale gli utili da partecipazione alle società soggette ad Irpeg, ora Ires.

Poiché la normativa previdenziale individua, come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi d’impresa così come definiti dalla disciplina fiscale e considerato che secondo il T.U. delle imposte sui redditi, gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi tra i redditi da capitale, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi INPS.

Diversamente, continua la sentenza, per i soci di società di persone opera il principio della trasparenza fiscale in forza del quale i redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi d’impresa.

I giudici di legittimità hanno in conclusione anche richiamato la sentenza n. 354/2001 con la quale la Corte Costituzionale ha rilevato che nell’ambito delle società in accomandita semplice e in quelle in nome collettivo assume preminente rilievo, a differenza delle società di capitali, l’elemento personale, in virtù di un collegamento inteso non come semplice apporto di ciascuno al capitale sociale, bensì quale legame tra più persone, in vista dello svolgimento di un’attività produttiva riferibile nei risultati a tutti coloro che hanno posto in essere il vincolo sociale, ivi compreso il socio accomandante.