Chi non adotta il POS non deve pagare la sanzione di 30 euro
A cura della redazione
Il Consiglio di Stato, con il parere n. 01446 depositato il 1° giugno 2018, ha deciso che non può proseguire il suo corso lo schema di decreto del MISE, adottato di concerto con il Ministero dell’economia, recante la definizione delle modalità, dei termini e degli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per chi non si dota di POS e non accetta quindi i pagamenti con bancomat o carta di credito.
Il decreto interministeriale attua l’art. 15 del DL 179/2012 (L. 221/2012) e successive modificazioni, secondo cui a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l’attività di prodotti e di prestazioni di servizi, anche di natura professionale, sono tenuti ad accettare anche i pagamenti effettuati attraverso carte di debito e carte di credito, salvi i casi di oggettiva impossibilità tecnica.
La stessa disposizione normativa, al comma 5, ha delegato al Mise (di concerto con il Ministero dell’economia e sentita la Banca d’Italia) il compito definire l’importo delle sanzioni amministrative pecuniarie da applicare a coloro che violano l’obbligo, senza però fissare criteri ed indicazioni specifici entro i quali la delega deve essere attuata.
In assenza di criteri e limiti specifici definiti dal legislatore, quali l’importo minimo e massimo, l’indicazione dell’autorità competente ad irrogare la sanzione e le procedure applicabili, parametri questi utili a delimitare il regime sanzionatorio, i Ministeri delegati hanno deciso di applicare la sanzione individuata dall’art. 963 c.p. (depenalizzata ai sensi dell'art. 33, lett. a), L. 24 novembre 1981, n. 689) che dispone che “Chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con la sanzione amministrativa fino a 30 euro”.
Secondo il Consiglio di Stato, l’art. 15, del DL 179/2012 pur enunciando da un lato in modo chiaro la condotta antigiuridica dei soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazioni, anche professionali, consistente nell’obbligo di accettare, a saldo del rapporto giuridico, la moneta elettronica, e dall’altro lato i contenuti della delega (determinazione delle modalità, dei tempi e dell’importo delle sanzioni) non è sufficiente a soddisfare il vincolo costituzionale in materia di riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., anche se di carattere pacificamente relativo. Tale carattere esige, infatti, che la legge debba prevedere gli elementi essenziali della fattispecie che concorrono ad identificare la prestazione, demandando alle norme regolamentari l’individuazione degli elementi non essenziali o secondari, fermo restando la specificazione dei criteri e dei principi direttivi atti a orientare, delimitare e controllare in modo adeguato le determinazioni discrezionali adottabili in sede di completamento della disciplina.
In sostanza il Consiglio di Stato ritiene da un lato che la determinazione dell’entità della sanzione costituisca un elemento essenziale della fattispecie non integrabile su base regolamentare e dall’altro lato che mancano i criteri e i principi direttivi cui deve attenersi il potere esecutivo.
Inoltre, poiché l’obbligo di accettare il pagamento con carte di debito e carte di credito non è finalizzato alla tutela della moneta legale bensì alla tracciabilità dei flussi finanziari connessi all’effettuazione di cessioni di beni e prestazioni di servizio quale misura di contrasto all’evasione e al riciclaggio, la sanzione eventualmente applicabile deve essere ricercata all’interno dell’ordinamento giuridico che disciplina le attività commerciali e professionali.
In altri termini, nel caso in esame potrebbe trovare applicazione una già esistente norma di chiusura che sanzioni un inadempimento di carattere residuale, ossia che contempli una qualsiasi altra violazione di adempimenti legittimamente imposti nell’esercizio dell’arte, commercio o professione.
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